Leggo che si sta ‘ricostituendo’ la Pro Loco (o Pro Aesa). Con qualche difficoltà, sembra. Non sarebbe la prima volta. La vita di questa associazione, fin dalla sua nascita avvenuta nel lontano 1959 è stata costellata di picchi, cadute e ‘ricostituzioni’ o ‘rifondazioni’.
Per la cronaca, l’associazione nacque, come recita testualmente l’articolo, avendo come promotori e fondatori: “il Sig. Sindaco, S.E. l’Arcivescovo Giordani, Il Comm. Prof. Libani Romolo, il Prof. Ing. Pansironi Giulio, il Magg. Ribechi Andrea, il Dott. Caldarelli Mario, il Dr. Gagliardi Lorenzo, Mons. Giacobini, gli Ins. Profili Paolo, Santaroni Luigi, Lacchè Barbara, il Cav. Spitoni Antonio, i sigg. Zampini Antonio, Santaroni Giulio, Ballanti Neri.“. Presidente fu nominato “il Maggiore A. Ribechi“.
Torniamo alla Pro Loco di oggi e ai motivi delle sue cicliche crisi rifondative.
E’ un’associazione complessa perché non monotematica come altre che agiscono in specifici settori, seguono uno sport, una singola attività ludica o un singolo aspetto culturale o sociale della vita locale. La Pro Loco è per sua natura multidisciplinare e investe, almeno dovrebbe, il suo interesse ad ampissimo raggio mirando ad armonizzare le attività di tutte le altre associazioni per la “valorizzazione del territorio“. Programma vasto, compito non certo facile. Ma questa è la sua funzione. Altrimenti non avrebbe ragione di esistere, a maggior ragione in una piccola realtà come la nostra dove la poca gente, quella disponibile a sacrificare tempo e intelligenza, si divide già tra tanti impegni volontaristici.
Accompagno questa breve riflessione pescando dal forziere dei ricordi personali: anzitutto la tessera del 1973, concessami all’epoca con il raggiungimento della maggiore età (Segretario Pacifico Santaroni).
Poi, il programma ‘rivoluzionario’ di una delle tante ‘rifondazioni’, quella del 1976 di cui, insieme a tanti amici, fui parte attiva.
Non tutto venne poi realizzato ma fu comunque una bella e formativa esperienza, come lo fu un’altra a cui partecipai come Segretario, quella dei primi anni ’80 con la presidenza di Gianfranco D’Alesio (al tempo “lu caimanu” – “Luca Aimano” per gli intimi – assurto in seguito al rango di “Marchese del Grillo“…).
Ora, al netto di tutto quello che si può obiettare sullo spirito dei tempi (sia quello di allora che può apparire esageratamente ‘impegnato’, sia quello di oggi che invece del ‘disimpegno’ sembra aver fatto la sua bandiera), rileggendo oggi questo documento del ’76 (quasi mezzo secolo…) penso che la sua impostazione potrebbe costituire un modesto spunto di riflessione. Una traccia su come dovrebbe essere una Pro Loco che, pur senza cadere nella illusione di rivoltare il mondo come “una scatoletta di tonno” (cit.) non si limiti alla semplice organizzazione di piacevoli serate danzanti e sfilanti o a succulente sbraciolate. C’è (ci sarebbe) dell’altro… soprattutto in un paese che, a fronte delle sue potenzialità meritevoli di iniziative caratterizzanti e finalizzate, non sembra riuscire a darsi una sua politica culturale di una certa coerenza, rincorrendo confusamente ogni cosa capiti a tiro senza un filo conduttore. Non è facile certo nemmeno per chi amministra, un nucleo sempre più ristretto e solitario e senza i necessari aiuti, suggerimenti, indicazioni. Quel sostegno insomma che potrebbe (e dovrebbe) venire proprio da una Pro Loco che non si riduca alla funzione accessoria della amministrazione comunale, che sappia con essa collaborare ma anche, all’occorrenza, marcare la sua autonomia e le sue proposte frutto delle capacità e delle intelligenze della società civile. In giro ce ne sono. Si può fare.