Siamo in piena fase di fioritura. Splendida, ma necessariamente effimera, perché i fiori vanno colti al mattino. In teoria andrebbero colti ancor prima di aprirsi, per garantire che fragranza e sostanza non se ne volino via. Ma fortunatamente, sia per motivi operativi (l’abbondanza allunga i tempi di raccolta) sia per motivi di godimento estetico (vale per me che lo coltivo principalmente per diletto), una parte della raccolta si svolge normalmente “a fiore aperto”, contendendo i rossi stimmi ad api e bombi interessati in realtà al polline appiccicato agli stami gialli.
Che battaglia, che colori! E poi il profumo e il ronzìo degli insetti che ne restano ubriacati. Per giorni e giorni ogni mattina è un incanto.
Lunga è poi la fase della sfioratura. Gesto lento e certosino, meditativo, accompagnato da musiche scelte. Infine amorevole e attenta essiccatura.
Tempo, pazienza, manualità: non ci si meravigli di quanto viene poi a costare “l’oro vermiglio“, che è circa quanto il nobile metallo a cui viene assimilato.
Lo zafferano (Crocus sativus) può vantare nel nostro territorio ascendenze remote e una lunga tradizione di coltivazione almeno fino a un paio di secoli fa.
Al Gal Sibilla e alla Università di Camerino, che nel Programma Leader plus 2000-2006 presentarono il progetto “Prove di coltivazione e vocazionalità dello zafferano nel territorio montano e pedemontano maceratese”, il merito di aver fatto da volàno al recupero di questa coltura antica.
Nella scia di questa sperimentazione, si è inserito qui da noi l’estro stravagante di un artista-contadino (o un contadino-artista?), Sergio Calisti, che, da ormai quasi un decennio, ha fatto da apripista e ha poi trasmesso ad altri (tra cui chi scrive, già la bellezza di sette anni fa) la passione e i bulbi. Da qui la cosa si è espansa e nel giro di qualche anno i crochi sono tornati a fiorire in gran numero su questo nostro lembo di terra.
Tornati a fiorire, perché alla pari di altri centri dell’entroterra maceratese e in particolare del camerte, la presenza della coltura dello zafferano è attestata anche nel nostro territorio per vari secoli. Utilizzato non solo come spezia (alimentare e medicinale), ma anche per tingere e dipingere, ha sempre goduto di particolare considerazione.
Già nei primi anni del 1500 doveva essere un prodotto locale assai apprezzato viste le richieste di “saferano” che pervenivano alla Comunità da parte della corte ducale di Camerino, insieme a cacciagione e ad altre spezie varie, in occasione della visita di illustri ospiti.
Intorno alla metà del ‘500 diversi documenti attestano la presenza e l’importanza della coltivazione nel nostro territorio comunale.
Di particolare interesse, perché testimonia il livello di conoscenza e di attenzione nel merito, nonché la presenza di un florido mercato, l’arresto e la condanna, nel 1575, di tal “Leonardo zafferanaro di Cascia” reo d’aver commerciato una discreta quantità della preziosa spezia (sicuramente in polvere) contraffatta con l’aggiunta di cinnamomo, pipera (menta piperita o erba piperna?) e, addirittura, corallo.
Anche in vari documenti risalenti al XVI secolo lo zafferano è presente nelle tabelle soggette alla Gabella con una tariffa ovviamente assai elevata e incomparabile con tutti gli altri prodotti e le altre merci.
Per avere qualche indicazione sulle caratteristiche colturali del passato, sarebbe interessante riuscire ad individuare una delle probabili località di coltivazione che, nel 1783 in una testimonianza resa in un documento dei “Registri del Danno Dato”, viene indicata con il toponimo di “Contrada la Zafferanara” la cui ubicazione non risulta meglio specificata. E’ innegabile comunque che l’aver dato nome a una contrada ne comprova l’importanza.
Quindi nessun esotismo, nessuna forzatura. Lo zafferano c’era, ed è tornato. Godiamone e utilizziamolo (tra le sue tante virtù anche i suoi carotenoidi che pare rinforzino le difese immunitarie…).
Stassera, spaghetti alle vongole al modo mio con… zaferano nostrano…
Il tuo!
Miam
Un arôme ancien de notre terre…