Tenuto conto di quanto avviene in tempi ‘normali’, dopo due terremoti nel giro di un ventennio abbiamo ricostruito e ricostruiamo tutto sommato con piè veloce e, assai spesso, con mano pesante. Consolidiamo il nostro patrimonio edilizio con un ritmo sostenuto. Nel Centro Storico, la parte che costituisce (o almeno dovrebbe costituire) il nostro vanto, va da sé che si conservi la struttura e l’impianto, ma tanti particolari (inevitabilmente, ma non sempre…) scompaiono.
Sono elementi singoli, a volte dettagli, che affondano in un passato magari non lontanissimo ma per i più sensibili, tra i quali per età e passione mi iscrivo, rappresentano l’appiglio alla loro nostalgia. Più che filologici, sono elementi fisiologici, di cui si ha bisogno per mantenere alto il piacere di vivere in un ambiente che ancora ci racconta chi siamo.
È il caso, ad esempio delle porte, degli ingressi degli edifici. Inevitabile, quasi, che spariscano per fare posto al nuovo (spesso scriteriato), a meno che non siano quelli austeri e massicci dei pochi palazzi gentilizi. Per il resto si cancella tutta una storia fatta di immagini legate non solo all’infisso in sé ma anche alle figure stesse che vedemmo tener le chiavi di quei serramenti, attraversare quelle aperture, a tutte le volte che anche noi varcammo quelle soglie o che, non potendolo, avremmo voluto farlo. Da fuori a dentro, e viceversa. Tanti boccascena bifronte di un teatro ormai in disuso.
Le porte. Lascio loro un piccolo spazio prima che scompaiano, per trattenerne il ricordo e sovrapporlo a quello di volti e voci che la memoria ad esse ricollega.