Da noi, la prima ‘campagna di vaccinazione’ non può certo ritenersi un successo.
In totale dieci inoculazioni. Quattro nuclei familiari in tutto.
Diciamo però che l’anno è il 1805. Si era appena agli inizi. La pratica della vaccinazione era stata ideata da meno di un decennio e aveva cominciato a diffondersi, in una Europa sconquassata dalle guerre napoleoniche, tutto sommato velocemente seppure tra incertezze e avversioni di vario genere.
Nel 1796, dalle osservazioni di Edward Jenner (1749 – 1823) , un medico di campagna britannico, venne la svolta alla pratica della vaiolizzazione (o variolizzazione, o innesto) che sin dall’antichità, senza un criterio di vera scienza ma per semplice intuizione, aveva cercato di fronteggiare uno dei mali più insidiosi e perniciosi, il vaiolo, accostandosi ad esso, assumendolo in piccole dosi, con la contiguità, con una sorta di contagio misurato.
Jenner, empiricamente, s’accorse che un rimedio ai numerosi rischi di quella pratica antica, poteva venire dalla “variante vaccina”, il vaiolo cioè sviluppato dai bovini, da cui il nome, appunto: vaccino.
Se la vaccinazione incontrò mille difficoltà un po’ ovunque, ancor più difficile risultò la sua introduzione in un ambiente come quello dello Stato Pontificio permeato da una fede incline a ravvisare qualcosa di diabolico nel farsi inoculare quel quid di bestialità proveniente da una vacca. Mescolare l’umano e l’animale non rientrava di certo nel disegno divino. Si giunse anche a temere che la linfa bovina potesse comunicare i mali propri delle mucche; estremizzando ci fu chi arrivò persino a ipotizzare la trasformazione degli esseri umani in minotauri.
Immaginiamo poi quale potrebbe essere stata la situazione in piccole realtà come la nostra, se non fosse intervenuto lo sforzo razionale e l’impostazione organizzativa del napoleonico Regno d’Italia.
Nonostante le incertezze, era stato comunque il Governo Pontificio a promuovere, anche se un po’ in sordina, le prime vaccinazioni. Difficile sottrarsi ad una tendenza che già si stava affermando nella Repubblica Cisalpina e anche nel Regno di Napoli. Lo si ricorda all’inizio del Registro in cui le norme del nuovo Regno d’Italia, a cui Napoleone aveva annesso le Marche nell’aprile del 1808, vollero venissero appuntati in maniera dettagliata i dati delle ‘campagne vaccinali’. D’altronde era cessato “l’antico regime” ma a Santanatoglia i “Professori” chiamati a farsi carico dell’incombenza erano rimasti gli stessi: Luigi Santorini il Medico Fisico e Lorenzo Majocchi il Chirurgo.
Erano stati loro ai primi di maggio del 1805 a inoculare i primi vaccini, a quei 10 bambini, compresi fra i tre e gli undici anni.
Le quattro famiglie dei primi vaccinati, quasi fosse un esperimento sociale e non frutto di casualità come pensiamo sarà stato, risultarono rappresentative delle principali classi sociali presenti in paese: gli Alberici possidenti, i Morroni notabili, i Lacchei contadini e gli Angelici artigiani. Pacifico Angelici, calzolaio, intese proteggere dal vaiolo i suoi due figli, Raffaele e Ferdinando azzardando un atto di fiducia verso la scienza moderna. Quest’ultimo, Ferdinando, tanti anni dopo, indossata la tonaca, sarebbe diventato uno strenuo avversario di ogni modernismo. Fu noto e apprezzato predicatore e in giro per vari pulpiti d’Italia, avrebbe usato parole di fuoco per contrastare i rischi di tutto ciò che poteva alterare in qualche modo quello che riteneva il normale corso delle cose. [1] Non sappiamo se tra i rischi ritenesse di comprendervi anche la vaccinazione, visto che fu appunto tra i primi a sperimentare a Santanatoglia quella sorta di moderna diavoleria che si stava imponendo nelle pratiche sanitarie del tempo e che consisteva, per curare il male, il vaiolo, nel farsi inoculare il male stesso, la sua secrezione, il pus, per di più di provenienza animale. Pressoché alla cieca, poiché all’epoca e fino alla fine del 1800 nulla si sapeva ancora di microbiologia, di batteri, di virus, di funzionamento del sistema immunitario. All’epoca erano solo pure intuizioni.
Ma il rischio vaiolo incombeva e la guerra contro il morbo andava combattuta, con ogni mezzo. Un lieve progresso si ebbe con la seconda ‘campagna vaccinale’: due anni dopo, nel maggio del 1807, il vaccino fu inoculato a 14 bambini di 6 diversi nuclei familiari.
A fine anno il mostro del vaiolo comparve di nuovo, qui come in tanti altri luoghi vicini e lontani.
Ce lo ricorda una annotazione a margine di questo primo elenco del Registro: “nell’epidemia del Vajolo naturale occorsa in questo Comune dal Novembre 1807 al Maggio 1808, tutti i controscritti Vaccinati ne furono esenti”. Un successo quindi, aver messo al riparo 24 bambini.
Questo può spiegare perché la successiva ‘campagna vaccinale’, la prima sotto il nuovo Regno, ebbe diverso riscontro. Nel 1809 da fine aprile ai primi di giugno furono 106 i vaccinati. Si replicò nel 1810, tra metà giugno e metà luglio, e i vaccinati furono 43, anche neonati di pochi mesi.
Ormai la pratica riguardava famiglie di ogni estrazione sociale. Accanto ai nobili Pongelli, ai possidenti Buscalferri o Pauloni o Bartocci, ai notabili Vannucci o Censi, o agli artigiani cittadini Renaldi, Dragoni, Serafini, nell’elenco comparve lo stuolo della gente di campagna, i più numerosi. Condotti in braccio, per mano o a dorso di somaro, scesero da Sant’Angelo i Bufarini, i Paglialunga e i Cattarulla; così dalla valle di San Pietro i Picchietti i Padelletti e i Pocognoli; i Brugnola e i Bottacci da Palazzo; arrivarono gli Spitoni, i Pedica, i Procaccini, i Tozzi, i Mancini, i Modesti, i Calisti, e tanti altri ancora, contadini insediati tra Capriglia, Pagliano e case sparse.
Per ciascuno si osservava e annotava l’esito che risulta “felice” per la maggioranza, e con la comparsa di una, due o tre “pustole” per la restante parte. Sporadici casi di “efìmera“, ovvero un accesso febbrile di un giorno o poco più.
Vigilava su tutto ciò la “Commissione di Sanità” (dal dicembre 1812 “Deputazione di Sanità“) presieduta dal Sindaco e composta dal primo tra gli Anziani, e dal Medico Fisico.
La Commissione si riuniva all’occorrenza e comunque almeno una volta al mese. Aveva competenza su ogni materia di igiene e sanità: in quei tempi si trovò ad affrontare il problema della costruzione del Cemeterio, e di una sfilza di ‘emergenze sanitarie’, dalla febbre mortale “con stasi infiammatoria nel cervello” che i nostri migranti stagionali riportavano dalla mietitura in Maremma, alla “tosse convulsa” che si portava via ogni tanto qualche fanciullo, al “contaggio scabbioso che si va diffondendo a poco a poco tanto dentro, che nella Campagna, specialmente nella Classe mediocre“, ed altre ancora. [2] Unica magra consolazione la scomparsa delle malattie veneree: “i Professori asseriscono che da qualche tempo in qua non curano questo Morbo“. In questo quadro allarmante, la Commissione, riservava una particolare e costante attenzione alla pulizia delle strade dell’abitato e all’igiene di “botteghe, macelli e speziarie“. Non conoscendo ancora la natura e i meccanismi dei contagi, questi erano argomenti ritenuti di fondamentale importanza. Presiedeva inoltre all’organizzazione delle vaccinazioni procurando che non mancasse mai il “pus” da inoculare, anche quello destinato alle pecore afflitte dalla “Schiavina“, ossia il vaiolo ovino. Tempi grami, compiti ingrati. Con buona pace di quanti oggi si ammantano di eroismo per affrontare spesso quisquilie con mezzi, al confronto, illimitati.
In caso di necessità, la Commissione coinvolgeva tutti i “Parrochi“, in particolare quando occorreva far giungere agli strati più umili della popolazione, informazioni, indicazioni e precetti.
Esemplare, a questo proposito, la riunione del 15 maggio 1813. La Deputazione presieduta dal Sindaco Francesco Pauloni, e composta da Niccola Dialti e dal Medico Luigi Santorini, convocò i “Parrochi” Don Luca Buti (di S.Martino), Don Vincenzo Silvestri (della Pieve), Don Giandomenico Dialti. (di S.Andrea) e Don Lorenzo Bartocci (di Palazzo), ai quali fu data lettura del Dispaccio Prefettizio che riguardava “il modo da tenersi nello sviluppo di qualche malattia di dubbio carattere soprattutto nella Classe dei Fanciulli, de quali si è riconosciuta una vistosa mortalità nelli decorsi anni 1811 e 1812“. Il nostro Medico Fisico, Luigi Santorini, comunicò che Santanatolia era rimasta indenne e che anzi “nel 1812 ha sorpassato di gran lunga il numero dei nati quello dei morti” e che nel nostro Comune “ove si gode un’aria purgata e perfetta a confronto degli altri Comuni circonvicini” i fanciulli erano soggetti solo a “piccole affezioni di rachitide“. Dopo il dato rassicurante, la Deputazione raccoglieva e verbalizzava una unanime dichiarazione d’intenti da parte di tutti i pastori di anime presenti, così riassunta: “I Signori Parrochi convennero concordemente che negli abitanti di questo Comune, specialmente Contadini, al primo comparire di ogni minima malattia ne’ loro piccoli figli, si chiamano immediatamente i Professori onde curarli, e non sono immersi nel pregiudizio nominato nella sullodata Circolare Prefettizia, cioè che essendo questi bambini nello stato dell’innocenza, godono che periscano perché vanno ad impadronirsi di una perpetua gioventù nell’altra vita. Nulla di meno però assicurano che non ometteranno la minima parte del loro zelo, onde sempre più insinuare negli animi de’ loro Parrocchiani i doveri principali del Bon Religioso, uno de’ quali è conservare la propria salute.“. Data la consueta conflittualità tra Regno e Clero, più che un comune sentire, sembrano echeggiare i toni dell’intimazione di una linea di condotta a cui il Clero era tenuto a sottostare.
Con la caduta del regime napoleonico, nel 1814 lo scenario complessivo cambiò radicalmente.
Spirava ormai sull’Italia un vento restauratore che mirava a spazzare via molti dei traguardi raggiunti nella precedente epoca napoleonica; ne fece le spese anche la nuova pratica immunizzante. Si delineò così un nuovo panorama caratterizzato da rinnovate critiche mosse contro la vaccinazione, alimentate dalle mai cessate paure e che, con le controriforme attuate dalla Restaurazione, portò all’abbassamento della copertura vaccinale. Il vaiolo tornò presto a colpire: una prima ondata nel 1829, a Genova; una seconda arrivò al seguito dei soldati garibaldini reduci dal fronte francese.
Lo vedremo più avanti, seguendo il progredire di altre campagne vaccinali. Quelle di allora e… viene spontaneo il raffronto, quelle di oggi.
Perché, come disse quel sagace bontempone di Mark Twain “la Storia non si ripete, ma fa rima“…
[1]. La predicazione di Don Ferdinando Angelici (1802-1873), come ricorda Matteo Parrini nel tratteggiare la sua figura in ‘Le profezie amare di un abate di Esanatoglia – Come Don Ferdinando Angelici predicò contro la rivoluzione italiana’ (Centro Studi Civitanovesi), ebbe vasta eco in un tempo in cui col vacillare del potere temporale della Chiesa, molti credenti si trovarono ad essere particolarmente sensibili a visioni apocalittiche.
In un’orazione pronunciata a Rimini annunciò che «sarà per compiere la meta del suo corso il secolo XIX; e non più il maomettano, il gentile, lo scismatico, il fiero idolatra, ma gli stessi figli di te, o Chiesa, combatteranno contro di te, e squarceranno il tuo seno. Bestemmieranno il tuo Cristo, profaneranno i più sacrosanti misteri, insulteranno Sacerdoti e Re; distruggeranno Templi ed altari; il sangue cattolico scorrerà a fiumi a torrenti; e alcuni Principi della terra si congregheranno a proteggimento e sostegno di queste branca di bestie feroci, di queste corna del drago sanguinolento».
[2] Nella riunione del 13 febbraio 1812, seconda metà del novembre 1811 si verbalizza, che “in questo Comune fin dalla Metà di Novembre ha serpeggiato ordinariamente nella Classe degli Individui più miserabili tanto dentro, che fuori una Febbre Gastrica Verminosa. Felicemente, sinora è Rimasta vinta ma in qualcuno ancora esiste. Se ne attribuisce la cagione al solo vitto di Granturco senza condimento di Sale, e senza l’uso del Vino compresivi anche gl’Erbaggi non perfettamente salubri. Tale circostanza verte per lo più su i Miserabili.” Non c’è altro da fare che affidarsi a una ottimistica speranza: “Se nella Stagione Invernale hanno di già fatta comparsa le Febbri di tal Carattere, si dubita che nella Primavera, e nella State possano vieppiù incalzare.”
Oltre 200 anni fa, sempre le stesse famiglie, gli stessi cognomi di oggi. Magari fra 200 anni parleranno ancora del Covid a Esanatoglia…