Sono veramente lieto e lusingato di ospitare in questo mio blog Matteo Parrini, le cui doti di scrittura, di profondità di ricerca storica, di capacità di analisi, per chi non le conoscesse già grazie alla sua consistente bibliografia e alla sua poliedrica attività divulgativa, saranno acclarate anche dalla sola lettura di questo suo breve ma interessantissimo contributo su una vicenda che riguarda il nostro territorio. Ha accettato l’invito e, proprio per Esanatoglia.eu, ha ampliato e approfondito il racconto di una storia che aveva anticipato in una conferenza ad Esanatoglia ed ora ha inserito nel suo recente lavoro “Marche esoteriche e occulte” (Intermedia Edizioni) che trovate in libreria (oppure on line) e che invito caldamente a leggere.
Era santanatogliese la prima strega arsa viva nelle Marche
di Matteo Parrini
L’età medievale, come tutte le epoche, è caratterizzata di luci ed ombre, di contraddizioni, di segreti e vicende oscure, di tragici smarrimenti e di certezze orgogliose, ma scopo di chi fa ricerca non dovrebbe mai essere quella di giudicare, quanto quella di raccogliere elementi e di cercare di capire. Conoscere il passato infatti dovrebbe servire per comprendere di più il presente e proiettarne le conseguenze nel futuro. Dico questo perché ci sono dei luoghi comuni che tendono ad associare erroneamente certe vicende e fenomeni storici, cosicché partendo da una scorretta analisi si giunge ad un ancor più fallace esito. E’ quanto accade per le streghe, oggetto di grande interesse nella società contemporanea secolarizzata, ma al tempo stesso divenute un falso simbolo anche di ciò che non erano tra le femministe o tra coloro che le collegano al satanismo o comunque all’adorazione del diavolo, che implicherebbe la loro ‘cristianizzazione’. Niente di più falso, come ho cercato di spiegare in maniera semplice e divulgativa nella recente pubblicazione “Marche esoteriche e occulte” (Intermedia Edizioni).
Proprio in questo testo ho voluto ripercorre uno degli episodi, a mio giudizio di maggior interesse sul fenomeno dell’antica stregoneria nelle Marche, che si è svolto tra le nostre campagne ed è avvenuto molto prima che la stessa Chiesa iniziasse a perseguitare le strigae. Sembra incredibile, ma la scena di questo episodio è tutta incentrata nei rapporti e nella cultura che doveva contraddistinguere le nostre comunità montane e meglio ancora quella del castrum di Santa Anatolia e degli homines di Coldemati o Collis Amati, ossia di Collamato.
Il tragico rogo di una donna accusata di stregoneria sulla pubblica piazza del castrum Coldamati fu il fatto che segnò per sempre in senso negativo i rapporti tra le vicine comunità di Santa Anatolia e di Collamato. Il fatto avvenne nel giugno 1210 e a riportarne alla luce per primo la memoria in età moderna fu il francescano frate Francesco Maria Niccolini nel suo manoscritto, ben noto a tutti gli studiosi che nel tempo hanno cercato di ricostruire le vicende politiche e sociali di questa zona 1.
La donna venne bruciata viva per volontà di alcuni uomini e donne di Collamato, in quanto la donna, originaria di Santa Anatolia, era accusata di essere una poco di buono, un po’ maga, un po’ fattucchiera, abile nella preparazione di filtri d’amore e fatture, donna di malaffare, insomma potremmo dire la tradizionale deduzione popolare di «striga, malefica et meretrix».
Da quel poco che si comprende dai documenti è chiaro che non solo non fu effettuato un processo di alcun genere, ma che la condanna fu commisurata da una folla inferocita verso la povera donna, che agli occhi di qualcuno doveva essere colpevole di gravi misfatti, sicuramente collegati anche alla religiosità del mondo stregonesco, che nulla aveva a che fare (almeno in origine) con il mondo cristiano 2.
La successiva assoluzione per gli autori del misfatto, va invece inquadrata nell’ambito del complesso quadro politico in cui si trovava non solo l’Italia, ma lo stesso piccolo territorio in cui avvenne il misfatto. La stessa reticenza del Niccolini nel raccontare l’episodio fa sospettare che avesse compreso le ragioni profonde che portarono non solo alla condanna popolare della donna, quanto anche al patetico quadro politico che portò all’assoluzione degli stessi collamatesi, nonostante il ricorso fatto alle autorità imperiali da parte della vicina comunità del castrum di Santa Anatolia, a cui apparteneva la vittima. I rapporti, sempre che non si fossero già guastati prima, da allora rimasero per sempre tesi, come dimostrerebbero anche fatti di qualche anno dopo e dei secoli seguenti 3.
E’ bene a questo punto fare un breve passo indietro ed esaminare più da vicino le circostanze socio-politiche che portarono ai fatti del giugno 1210. Collamato innanzi tutto, grazie ai suoi 500 metri di altitudine ed alla posizione dominante e centrale sulle alte valli dell’Esino e del Giano, è stato sempre luogo di dispute militari (addirittura fino ai fatti della seconda guerra mondiale, con i tedeschi che lo abbandonarono nel luglio 1944 dopo aver disimpegnato tutta la zona circostante 4). Forse anche per questo la sua originaria appartenenza geografica e amministrativa è stata sempre motivo di discussione, tra le comunità limitrofe. E la stessa etimologia non ha certo aiutato a districare il problema. Infatti, l’essere chiamato anticamente come «Coldemato» o «Coldemati» ha stimolato tante possibili etimologie: c’è chi lo vorrebbe derivante da tal gentilizio Matius, o dal nome Amatus, o persino da un legame con l’oscura radice del nome Matilica (che per altro risulta fosse declinato come un neutro plurale e non al singolare femminile come in tempi molto recenti erroneamente fatto) e del non lontano castello di Matano 5.
Fatto sta che il castrum di Collamato alla fine del XII secolo risultò essere incluso nel territorio comunale di uno dei primi Comuni costituitosi nelle Marche, quello di Matelica. La sua giurisdizione amministrativa includeva un’area molto vasta, da Salmaregia a Rotabella (attuale Selvalagli di Gagliole), passando per le zone attuali di Gagliole, Albacina, Cerreto d’Esi, Esanatoglia, fino appunto a Collamato 6.
La politica del giovane Comune di Matelica fu quindi forse troppo sconsiderata, generando numerose inimicizie all’istituzione in tutto il vicinato e ben oltre. Infatti non solo nel 1176 subì il saccheggio da parte delle truppe imperiali tedesche guidate dall’arcivescovo Cristiano di Magonza, ma soprattutto, nel 1196, l’acuirsi del conflitto con i conti Ottoni portò ad un’alleanza di sette potenti Comuni (Fabriano, Camerino, San Severino, Tolentino, Civitanova, Cingoli, Recanati), che nel 1199 causarono la completa distruzione del centro abitato e la cacciata degli abitanti, provocando una dura diaspora e vietando la rifondazione o la ricostituzione delle istituzioni. Collamato stesso passò sotto la giurisdizione di Fabriano. Neanche la consegna, nell’agosto 1199, dei prigionieri a Fabriano, né l’intervento di papa Innocenzo III nell’aprile 1203 riuscì a placare l’ira dei Comuni vicini e a smuovere il Comune di Fabriano e quello neo costituito di S. Anatolia dall’aiutare Matelica 7.
Si andarono anzi accentuando le divisioni, a causa anche dei fatti a livello generale e locale. A causa della lotta tra papato ed impero, quindi tra i rivali Ottone IV di Brunswick ed il giovane Federico II di Svevia, si succedettero una serie di importanti episodi, come quello che permise la rinascita del Comune di Matelica e la costituzione di un’alleanza ghibellina di lunga durata contro la roccaforte pontificia di Camerino.
La discesa in Italia di Ottone di Brunswick nel luglio 1209 portò suo cugino Azzo VI d’Este, al quale il papa aveva assegnato la Marca d’Ancona nel 1208, a passare tra le fila imperiali e ad accompagnare l’aspirante imperatore nella discesa dal mantovano, attraverso il bolognese, fino in Umbria nell’agosto 1209 8.
Si iniziò quindi a lavorare per tessere la tela politica che doveva rafforzare l’alleanza a favore di Ottone IV e non è un caso quindi se proprio il 12 ottobre 1209, otto giorni dopo essere stato incoronato imperatore ed ormai in grado di controllare gran parte dell’area appenninica e del nord delle Marche, concesse con diploma alle forze ghibelline matelicane di rifondare la propria città dopo un decennio di abbandono, prevedendo anche un palatium per il legato imperiale 9.
Malgrado le promesse fatte al papa, di lì a poco l’imperatore ricominciò ad occupare i possedimenti della Chiesa, generando una nuova rottura politica nel novembre 1209. Di lì a qualche settimana, un’avanguardia militare dell’imperatore si spinse da Foligno verso Camerino, attraverso la strada che da Nocera conduceva a Pioraco con l’intenzione di impadronirsi della città da sempre fedele al papa, grazie all’aiuto delle forze ghibelline radunate. Malgrado il piano qualcosa andò storto: l’impresa fu anticipata dai guelfi e dai camerinesi che tesero probabilmente un’imboscata nella gola di Pioraco (il Lilii sostiene che «la vanguardia, la quale, appena avvicinatasi allo stretto del passo, fu saettata dalle balestre, e da sassi dalle Rocche»), costringendoli ad una precipitosa ritirata 10.
Tale disfatta portò l’imperatore ad assumere una posizione politica più moderata verso il papa e all’inizio del 1210 volle perdonare i guelfi di Camerino e riconobbe ad Azzo VI d’Este l’investitura della Marca d’Ancona già concessagli da Innocenzo III, anche se Camerino rimase ferma nella sua posizione filo-pontificia.
A questo punto, una lacuna documentaria dovuta forse ad una dispersione 11, fa ipotizzare che le asperità tra le varie comunità tornarono ad acuirsi, forse anche per la necessità di dover riorganizzare il territorio a favore dei centri ghibellini che avevano fatto parte dell’alleanza del 1198 (Fabriano, San Severino), senza scontentare le ambizioni della rinata Matelica, anch’essa inclusa nella sfera ghibellina. A doverne fare le spese per forza di cose non poteva che essere il Comune di Santa Anatolia, che nel trattato di pace del 1211 tra Matelica e Fabriano fu considerato un semplice «castrum» e concesso ai matelicesi (seppure in maniera effimera, dato che già nel 1214 la comunità di Santa Anatolia passava sotto il controllo di Camerino), mentre i territori della valle e dell’abbazia di Sant’Angelo infra Hostia e della villa di Nibbiano vennero assegnati ai fabrianesi 12.
E’ in questo intricato contesto sociale e politico quindi che si svolse il rogo della povera donna. Leggendo la sentenza di assoluzione, emessa il 22 dicembre 1210 (quindi sei mesi dopo i fatti), dal marchese Azzo VI nei confronti della popolazione di Collamato (la quale ricadendo sotto il territorio ghibellino di Fabriano andava certamente maggiormente tutelata rispetto a quella della comunità di Santa Anatolia, la cui giurisdizione e collocazione politica doveva apparire già allora più incerta), si comprende che si trattava di una semplice «muliere», contro la quale si erano scatenati «ipsi nomine, tam viri quam mulieres» di Collamato. Il richiamo alla fedeltà dei consoli di Fabriano all’autorità imperiale fa quasi da certificazione al completamento di questo atto, che giustificava senza una reale e concreta base giuridica un delitto perpetrato ai danni di una donna, non appartenente alla comunità di Collamato, ma alla vicina ed ostile Santa Anatolia e accusata di aver provocato «diabolica istigante suasione», pertanto bruciata viva in un rogo prodotto sulla pubblica piazza del castello 13.
Come anticipato, nelle Marche è il primo caso in assoluto di una strega condannata al rogo dalla popolazione, sia pure senza un regolare processo. Si tratta anche di uno dei primi casi in assoluto in Italia e merita pertanto un approfondimento. Infatti se l’episodio in questione può essere facilmente inquadrato in un contesto socio-politico già complesso e difficile da ricomporre, la caccia alle streghe anche nell’area appenninica umbro-marchigiana ebbe un ruolo decisamente rilevante nei secoli successivi, mentre dell’esistenza di un contesto culturale e religioso, parallelo a quello cristiano, è dimostrato da evidenze non solo storico-archivistiche, ma anche artistiche ed archeologiche, che, senza allontanarci troppo dal luogo del delitto, ci può permettere di fare un excursus di notevole rilevanza che ho cercato di mettere in luce nel libro “Marche esoteriche e occulte”, viaggiando tra sibille e fattucchiere, tra il “santuario” della Sibilla fino al Monte Strega sopra Sassoferrato, dal monte Conero fino alle imbarcazioni dei nostri marinai.
Fare luce su quest’episodio permette di accedere alla conoscenza di civiltà sicuramente molto più arcaiche e di una cultura femminile del nostro territorio che troppo facilmente è stata fino a pochi decenni fa marchiata volgarmente o con aggettivazioni misogine da società fortemente maschiliste. La speranza in questa ricerca è dunque tutta affidata a mentalità più libere ed autocritiche, che sappiano coniugarsi a studi seri e ben fondati.
- G. COLUCCI, Delle Antichità Picene, Fermo, 1793, t. XX, p.153; D. FERRETTI, Il castello di Collamato, Jesi, Arti Grafiche Jesine, 1970, p.38.
- F. M. NICCOLINI, Sulle origini del Castello di Collamato, Manoscritto 139 presso la Biblioteca comunale di Fabriano.
- C. LILII, Dell’historia di Camerino, parte prima, vol.2, Camerino, 1660, p.293; G. LUZZATTO, Per una storia economica delle Marche: scritti e note, in Le Marche, 1902-1908, Quattroventi, 1988, p.70.
- D. FERRETTI, op. cit., pp.107-110.
- AA.VV., San Francesco d’Assisi periodico mensile illustrato per il 7° centenario della morte del santo, 1226-1926, Assisi, Tipografia Metastasio, 1928, p.178; R. SASSI, Il culto di S. Paterniano nel Fabrianese, in Studia Picena, Pontificio Seminario marchigiano Pio XI, 1940, pp.80-81; G. AMADIO, Toponomastica marchigiana, Editrice stabilimento tipografico “Sisto V”, 1955, voll.4-6, pp.4-5; R. SASSI, Curiosità della toponomastica fabrianese, Fabriano, Arti Grafiche “Gentile”, 1966, p.9.
- C. ACQUACOTTA, Memorie di Matelica, Ancona, 1838, vol. I, pp.50, 60 – vol. II, pp.25-27; C. CIAVARINI, Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane, Ancona, Tipografia del Commercio, t. II, pp.28-30.
- ROLANDINI PATAVINI, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, in Rer. Ital. Script., II edizione, VIII, 1, a cura di A. Bonardi, pp. 22-23; GERARDI MAURISII, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano, ibid., VIII, 4, a cura di G. Soranzo, pp. 11-17.
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- C. ACQUACOTTA, Memorie di Matelica, Ancona, 1838, vol. I, p.69 – vol. II, pp.42-43; A. ZONGHI, Carte Diplomatiche Fabrianesi, Ancona, 1872, doc. LIII (a.1211), pp.64-68; G. LUZZATTO, Gli Statuti del Comune di S. Anatolia del 1324 e un frammento degli Statuti del Comune di Matelica del sec. XIV (1358?), Ancona, 1909, p. X.
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