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La Resistenza degli esanatogliesi

 

La Resistenza degli esanatogliesi

Preambolo

L’ultima volta che a Esanatoglia si parlò pubblicamente di Resistenza e di lotta di Liberazione dal nazifascismo, sia in termini generali che ancor più in particolare per quanto avvenne in quel periodo nel nostro territorio, fu nel 1994.  Trent’anni fa.   Da allora, eccettuate le solite scarne e obbligate parole di circostanza pronunciate dalle locali autorità civili in occasione di ogni 25 Aprile, centellinate con tale equilibrata (equilibristica?) cautela tanto da renderle a volte oscure e incomprensibili, più nulla. 

Un capitolo a parte nel dibattito pubblico locale sul periodo della Resistenza locale, è rappresentato dall’esperienza testimoniale ancor prima che narrativa del compianto Balilla Bolognesi, che in un arco di tempo che va dal 1988 fino al 2003 ha stilato i suoi “Diari di un deportato“, edito nel 2004. 

 

 

Il suo è il racconto di un giovane che, insieme ad altri, non aderisce al movimento partigiano, alla lotta armata, ma dandosi alla macchia si oppone al regime e si rifiuta di rispondere alla chiamata alla leva della Repubblica di Salò.  Sarà poi la sua deportazione in Germania, con la straordinaria intensità della sua memoria, a rappresentare il corpus della sua opera.  Perciò quel poco di risonanza locale che le testimonianze di Balilla stimolarono, riguardarono più che la lotta partigiana locale, la vicenda dei deportati utilizzati come forza lavoro in terra tedesca la cui tragica esperienza fu spesso non adeguatamente valutata se non addirittura disconosciuta.  

 

Tornando a quel settembre del 1994, la nuova Amministrazione Comunale a guida Giorgio Pizzi, insediatasi da poco più di un anno dopo un ciclo di 17 anni di sindacature di sinistra, ritenne di accogliere una petizione promossa da un comitato cittadino costituitosi su iniziativa di Luciano Grifoni (originario di Esanatoglia ma trapiantato a Livorno), che all’epoca si era impegnato in una sua personale ricerca su quel periodo storico e in particolare sull’uccisione di tre civili da parte di partigiani montenegrini membri del G.A.P. (Gruppo di Azione Partigiana) ‘San Cataldo’, facendo assurgere quel tragico e mai chiarito evento quasi a corollario della sua personale visione del movimento di Liberazione (“Da questo momento si smiticizza per sempre il fenomeno partigiano” come ebbe a scrivere).  Venne quindi approvato un Atto Consiliare “RICONOSCIMENTO COME VITTIME CIVILI DI GUERRA DI TRE CITTADINI BARBARAMENTE UCCISI IL 3 LUGLIO 1944” ed apposta in loro onore una lapide al Monumento ai Caduti.

 

 

Intento di per sé anche apprezzabile e degno di riflessione nonché di attenzione storica se non fosse per il modo in cui fu condotto, unilaterale e piuttosto assertivo, (“Essendo le mie ricerche risultate infruttuose per trovare prove di colpevolezza a carico dei tre, sarebbe opportuno quindi di riabilitarne la memoria sia sul piano politico che morale” scrisse Grifoni attribuendosi un ruolo non da poco…), per le evidenti lacune nella ricerca (penso ad esempio all’aver completamente glissato sugli atti processuali, che abbiamo consultato direttamente – e sappiamo averlo fatto anche Grifoni – da cui emergono spunti interessanti sulle motivazioni, in particolare della scelta del Lacchè, che potevano in qualche modo essere legate all’ambiente della Conceria Ottolina, vero centro di potere del paese che, a detta di molti, aveva esercitato il suo ruolo anche nella scelta delle due vittime che vennero fucilate per rappresaglia il 1° aprile del 1944 in Piazza Cavour), per una malcelata volontà revanscista, forse andata anche oltre le intenzioni dello stesso autore della ricerca.    Come traspare dagli accenti di alcuni oratori sostenitori della proposta, ancor più che onorare la memoria delle tre vittime, l’intento sembra fosse quello di svilire l’intero movimento resistenziale e con esso quanti vi erano legati e vi si riconoscevano idealmente.

Non si intende in questa sede tornare sull’argomento specifico, ma per chi volesse farsi un’idea, si mette a disposizione la Deliberazione Consiliare n. 65 del 1994 (che si trova cliccando qui).   Ne salviamo solo la parte finale del dispositivo, seppure suoni come tardiva concessione ai dubbi e alle rimostranze delle minoranze consiliari, laddove auspica “una ricerca storica da condursi in collaborazione con i protagonisti della lotta partigiana, per chiarire ai giovani la grande, fondamentale importanza della Resistenza al Nazifascismo“. 

Nelle posizioni espresse dai gruppi di minoranza vi sono accenni a quel clima di revisionismo storico che in quel momento si respirava con l’avvento del primo governo Berlusconi in cui erano presenti ben cinque ministri neofascisti del Msi, ma che, in una prospettiva storica avvalorata poi da quelli che sono stati gli sviluppi successivi, lasciava intravedere la prosecuzione di quella sorta di svalutazione della Resistenza iniziata all’indomani stesso della Liberazione e in particolare dopo le elezioni politiche del 1948.  Processo lungo e articolato, obbligato da scelte di campo internazionali che ci ponevano sotto protettorato USA, e favorito dalla reintegrazione nei posti chiave della macchina statale (in particolare nei gangli decisivi di Esercito, Polizia e Magistratura) di personaggi di vertice coinvolti anche pesantemente con il ventennio fascista, che non furono mai chiamati a rispondere delle loro azioni sotto il regime ed ebbero ruoli rilevanti nella nuova Repubblica.

(Per inciso, un esempio emblematico tra i tanti: Sandro Pertini da Presidente della Camera, in visita ufficiale a Milano poco dopo la strage di Piazza Fontana, sì trovò di fronte come controparte istituzionale il Questore Marcello Guida.  Questi era stato il Direttore del confino di Ventotene dove Pertini fu recluso durante il fascismo; praticamente il suo carceriere.  Il futuro Presidente si rifiutò di stringergli la mano.)

Un percorso di delegittimazione incessante che negli anni successivi sarebbe stato ancor più intensificato da alcune pubblicazioni editoriali che ebbero notevole risonanza grazie anche al massiccio sostegno di una parte importante dei media nazionali.  Da citare in particolar modo i libri di Giampaolo Pansa (riassunti nella locuzione “il ciclo dei vinti“) che con linguaggio giornalistico, piano e immediato, dispensato come studio storico, ma la cui affidabilità in questo senso fu messa in discussione da molti storici anche di diverso orientamento, calcarono la mano su episodi discussi e discutibili del periodo resistenziale e anche dell’immediato dopoguerra, per ridimensionare la Resistenza e contestualmente rivalutare non solo il cosiddetto “fascismo buono” ma addirittura quello “repubblichino” di Salò.  Una parabola che, con diversa intensità, ha accompagnato questi ultimi ottanta anni (a chi dice che “la storia la scrivono i vincitori”… ) e ci porta, dritto per dritto, all’oggi.  In questo presente in cui, a guardarsi intorno, si ha la plastica visione degli esiti di questa china ottantennale.

 

Ancora la Resistenza?

Sentiamo allora di voler tornare sull’argomento Resistenza, elemento fondativo della nostra democrazia, perché l’argomento fa parte di un nostro personale sentire, e riteniamo importante mantenerne viva la memoria, integrando se possibile quanto è già noto, ma anche andando a colmare vuoti che, complici il tempo e la volontà umana, ne hanno velato la storia o addirittura distorto il senso. 

Ecco allora che sulla base di atti d’archivio emerge che anche la Resistenza esanatogliese, come avvenne con diversa intensità un po’ ovunque, fu fenomeno ben più esteso di quanto si pensi e anche di quanto appaia, nel nostro piccolo, dalle ricostruzioni dello stesso Grifoni.  Non una adesione limitata, affare di una cerchia ristretta e di qualche slavo invasato, ma una rete diffusa di partecipazione diretta, di collaborazione, di sostegno e di sostentamento.

La conferma ci viene dalla consultazione dell’elenco ufficiale “RICOMPART” con cui si indica il fondo Archivio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani, custodito in parte nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma e in parte purtroppo smembrato e disseminato negli Archivi dei Distretti Militari di competenza e quindi, visti i tempi correnti, di difficile reperimento e di problematica consultazione (ma riproveremo).   La ricerca, che è da ritenersi ancora in corso e potrà essere integrata da quanti vorranno in qualche modo contribuire (con notizie, immagini, suggerimenti, ecc.) permette comunque di anticipare, in occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, la pubblicazione di una prima ricognizione di quanti, nativi di Esanatoglia o al nostro paese legati, in diversi modi parteciparono a quel movimento di popolo dai mille risvolti, che contribuì a segnare la Liberazione dal nazifascismo e che, per questo, ottennero il riconoscimento di “partigiano” (o anche “partigiano combattente”: chi aveva fatto parte per almeno tre mesi in formazioni armate o gappiste, con la partecipazione ad almeno tre azioni di guerra o di sabotaggio. La qualifica spettava inoltre, senza limiti temporali, ai decorati al valor militare e ai feriti per attività partigiana e a quanti, in seguito ad essa, avevano subito per oltre tre mesi carcere o internamento in campi di concentramento) o di “patriota” ( chi aveva avuto impegno sostanziale e continuato, sotto forma di cessioni di denari, viveri, armi, munizioni, materiali sanitari, ospitalità clandestina, o con l’aver ripetutamente fornito importanti informazioni ai fini di buon esito della lotta di liberazione).

Questo riconoscimento si otteneva, su esplicita richiesta dell’interessato, previo parere da parte di una Commissione Regionale che esaminava le prove e le testimonianze presentate dal richiedente stesso con l’avallo di rappresentanti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).

Le molte assenze di nomi per i quali è comunque nota la loro partecipazione e/o collaborazione con i partigiani, inducono a ritenere che non tutti coloro che furono impegnati a vario titolo nella Resistenza esanatogliese presentarono domanda di riconoscimento.  Non comportava certo una svolta epocale nella propria esistenza, tutt’altro.  Un minimo di ricompensa economica, ma solo per quelli in armi e per le vittime, a fronte di non secondari problemi, diremmo oggi di outing.  La piega che prese la storia politica e sociale nazionale, indusse molti a non esporsi più di tanto in tal senso.  Nelle nostre zone in particolare l’essere stato Partigiano non era certo la credenziale migliore per ottenere un posto di lavoro nelle ambite fabbriche della zona né il viatico più idoneo per qualche gratificante posto pubblico.  Poteva costituire, al contrario, un serio impaccio.

Nonostante ciò l’elenco è comunque corposo e ci permette di inquadrare le vicende di quel periodo un po’ più chiaramente di quanto sia stato fatto in passato.  

In questo elenco, in cui vite preziose sono riassunte nei minimi cenni per ora reperiti, tanti potranno trovare parentele o amicizie, o anche semplici conoscenze che, al netto di qualche possibile imbarazzo e/o stupore (ma pensiamo soprattutto a quanti invece potranno sentirsi orgogliosi d’essere accomunati a questi nomi…) consentono di ricostruire particelle di storia che, recuperando parziali amnesie, possono aiutare a diradare un po’ di quella nebbia che offusca il passato e sparge la sua ombra sul presente, nonché a rendere un po’ più vicini questi nostri concittadini.  Vogliamo con ciò ringraziarli e onorarli, seppur con un postumo e modesto tributo.

Il tutto, per non dimenticare.  Ancora oggi.  Oggi più che mai.

 

Partigiani e Patrioti esanatogliesi

 

Aprendo lo scrigno del fondo RICOMPART, iniziamo con il più ovvio degli automatismi: l’ordine alfabetico.   Apriamo il “FASCICOLO PERSONALE” di

 

ANGELI Elvezia Erminia

(Matelica 1892 – Esanatoglia 1964 ) – partigiana del GAP Esanatoglia.  Rimasta vedova di tal Angelo Angelettini, si era trasferita a Esanatoglia nel 1931.  Non sappiamo perché avesse scelto il nostro paese; non ci risulta avesse qui legami di parentela.  Sappiamo che abitava in Via Rocca A, al civico 2.    Ci piace iniziare proprio con una donna, che appare assai combattiva nel sollecitare la pratica del suo riconoscimento come partigiana, sollevando senza mezzi termini un problema tra i più discussi della lotta di Liberazione e della transizione dalla dittatura alla democrazia: quello degli improvvisi cambi di casacca, dell’opportunismo politico.

Nella sua corrispondenza adombra sospetti chiedendosi se la sua richiesta non sia per caso osteggiata da non precisati “individui di Esanatoglia che procurano di non far dar corso a questa domanda perché temono che venga alla luce il loro passato di ferventi ex fascisti e che nell’ultima ora si sono qualificati partigiani combattenti (che non sanno nemmeno cosa sia un fucile) per proprio tornaconto e per interessi personali.”

Un argomento in genere utilizzato per screditare l’intero movimento e anche la credibilità stessa del popolo italiano.  Ma, al di là dei casi più eclatanti di trasformismo politico, quando si parla dell’ampio consenso al fascismo non dimentichiamo mai che l’adesione al regime era conculcata e di fatto forzosa e che per tanti fu proprio la tragica esperienza bellica a rappresentare una sorta di capolinea, un punto di non ritorno  che indusse tanti di quegli italiani consenzienti ad aprire finalmente gli occhi, maturando, con l’urgenza e l’immediatezza che quei tempi richiedevano, quel ripensamento che si ingigantì poi con ‘lo sbando’ dell’8 settembre.

 

 

Nelle varie lettere contenute nel suo fascicolo Erminia racconta di aver ospitato nella sua casa sia i partigiani slavi, fin dal loro primo arrivo a Esanatoglia, sia tre militari inglesi e un sudafricano, e di averli tutti accuditi e curati.  Un Capitano inglese rimase convalescente per 18 giorni e un tenente per 6 giorni.  Non si vergogna a ricordare che, stante la sua indigenza, non poteva sfamarli.  A questo pensava la maestra Vittoria Ugolini (vedi alla voce).  Oltre allo spirito di appartenenza, rivendica i suoi sentimenti materni nei confronti di coloro che aiutò.

 

“Per i nostri compagni fui una madre…”

 

Come molti, non era andata oltre la 3° elementare ma, ancora nel 1955, trova le parole giuste nelle accorate lettere per la richiesta di riconoscimento che gli avrebbe consentito qualche forma di provvidenza (molto misera in realtà) prevista dalla normativa allora vigente.   Continua come sempre a vivere una situazione di disagio economico e sociale che per certi versi ci riporta alla mente quella sorta di disconoscimento, quando non addirittura di avversione, che vissero tanti partigiani nel dopoguerra.  Non è chiaro se riuscì ad ottenere qualche modesto contributo.   Morì, povera e sola, nel 1964.

 

Ma da subito, l’ordine alfabetico dell’elenco RICOMPART  ci appare poco funzionale per organizzare il racconto di quel periodo.  E’ sì un archivio, un data-base, quello che ci accingiamo a compilare, ma avvertiamo il rischio di una gravezza da alleggerire anche per cercare di infondere un po’ più di passione partecipativa in chi ci legge. 

Ruotando lo sguardo intorno dalla cima del Corsegno, o cima de San Catallo, la montagna simbolo della nostra Resistenza, ci suggerisce l’idea di seguire, finché possibile, un criterio geografico, puntuale e reticolare. 

 

L’eremo di san Cataldo a quei tempi

 

 Proviamo allora ad appoggiarci ai luoghi, a stendere il racconto sul territorio. I partigiani combattenti e la rete di sostegno si muovevano intorno a questo vertice montano e godevano di supporto logistico in particolare nelle zone esterne al paese.  Se il punto focale operativo era l’eremo di san Cataldo, era imprescindibile il supporto che poteva venire dagli insediamenti rurali posti nelle zone montane circostanti e negli insediamenti sparsi a valle.  I primi sostegni della lotta partigiana non potevano che essere i contadini e i montanari di quelle località. 

La scelta della lotta armata, frutto di motivazioni le più disparate, era una scelta forte, audace, disperata a volte.   Ci si può interrogare su cosa potesse spingere tranquilli e appartati contadini ad appoggiare ed aiutare quella lotta mettendo a repentaglio la loro vita e quella dei propri familiari.  Certo, i partigiani erano armati e pronti a tutto.  Molti anche stranieri e all’apparenza temibili.   Ma c’erano anche esanatogliesi a fare da garanti, capaci di mitigare gli animi e persuadere.   Diverse di queste famiglie contadine avevano figli in divisa, allo sbando dopo l’8 settembre, qualcuno aveva familiari impegnati in uno dei vari fronti o già prigionieri degli alleati, altri deportati in Germania; su tutto aleggiava ormai lo sfinimento della guerra.   Non vogliamo enfatizzare la loro partecipazione come presa di coscienza perché non ne conosciamo appieno i motivi, ma tra le due semplici opzioni che in quelle difficili e drammatiche fasi erano davanti a loro, avevamo deciso da che parte stare.   

 

Partiamo quindi da San Cataldo: a due passi dall’Eremo, punto nevralgico del G.A.P. locale che da qui prese il nome, raggiungibile in pochi minuti di sentiero, era Fonte dell’Olmo, ‘Fonded’urmu’, un paio di casolari su un terreno scosceso e scarsamente produttivo che a malapena riusciva a sfamare una famiglia.   Una mezzadria da fame che, è un dato storicamente ricorrente, ospitava nuclei familiari di transito e sull’orlo della disperazione; vite in continuo trasferimento perché chiunque, appena poteva, lasciava quel posto per qualcosa di migliore.  Stringere i denti per qualche anno e poi via, partendo da lì qualsiasi altra vita appariva in discesa.

All’epoca ospitava la famiglia di

POCOGNOLI Sante

 (1895-1984) di Giuseppe e Bartolomea Modesti.  Fratello di Giuseppe e David.  Sposa nel 1922 Adele Spitoni. Non abbiamo reperito il suo fascicolo personale ma non è difficile immaginare che, a pochi minuti di cammino dall’eremo non si poteva essere estranei a ciò che vi succedeva.  Come dire che Sante fu un importante supporto logistico per il  Gruppo San Cataldo che nel 1947 gli valse il riconoscimento di “Partigiano“.

 

Sante Pocognoli

 

 

 

Altro luogo fondamentale per lo stazionamento dei partigiani, ancor più sicuro perché più discosto di Fonte d’Olmo, era Fonte la Valle, ‘Fondelaalle’.  Il casolare (con la chiesetta di Santa Eurosia di cui ci siamo occupoati) era visibile da Cropola (‘la svòrda de Cropula’) punto di osservazione strategico da cui si poteva controllare la sottostante vallata.

In quel periodo l’insediamento, di proprietà di Romolo Libani, era abitato dalla famiglia di 

POCOGNOLI David 

(1903 – 1979) di Giuseppe e Bartolomea Modesti.   Nel 1929 aveva sposato Angela Bottaccio.  Dopo alcuni anni trascorsi a Fonte dell’Olmo, nell’agosto del ’43 prese su la sua famiglia, sei figli , il più grande di 14 anni, a cui s’era appena aggiunta Rosa, appena nata il 7 di agosto, e si trasferì sull’altro lato del Corsegno, a Fonte la Valle.  Lì ebbe modo di stare a contatto con i Partigiani che spesso vi stazionavano.   Nel 1955 si trasferì definitivamente a Fabriano.

 

 

BOTTACCIO Angela

(1907- Fabriano 1993) di Saverio e Luigia Spitoni.  Moglie di David Pocognoli

I coniugi David Pocognoli e Angela Bottaccio

Prima dell’esodo a Fonte la Valle, il 7 agosto 1943, aveva partorito l’ultimogenita Rosa.  Forse l’ultima nata al numero civico 36 A di Fonte d’Olmo, di cui ormai non c’è più traccia.

 

 

Da Fonte la Valle, scendendo verso la valle di Sant’Angelo e risalendo i sentieri di Moi, oppure restando in quota e costeggiando il versante est de ‘Lu jócu de lu palló’, si arrivava a Lentino, o meglio ‘su Lentinu’ forse perché in assoluto è l’insediamento più alto della zona a 870 metri di altitudine.

 

Case Lentino in una foto del 1972

 

Questo luogo è legato anche alla morte in combattimento di Alberico Pacini (vedi).   Rappresentava un punto di contatto con i gruppi partigiani operanti nel fabrianese.

Ascriviamo a questa zona la partecipazione come “partigiano combattente” di 

PAGLIALUNGA Giovanni

(1903-1997) di Antonio e Maria Santa Quaresima, nasce a S.Angelo, storica culla della progenie di tutti i Paglialunga esanatogliesi, per trasferirsi poi, dopo aver sposato una “pocognòla” de la Quagna, Giuseppa, a Lentino, quindi in Comune di Fabriano.  La memoria del suo ruolo e del suo contributo, insieme alle preziose testimonianze su quello scontro a fuoco che si svolse su quella ‘piana‘ il 1° aprile del ’44  se ne sono andate con lui.  A chi è rimasto non ha lasciato ricordi.

 

Giovanni Paglialunga

 

 

 

Riprendendo il filo da San Cataldo e volgendo lo sguardo a sud, verso Gemmo, si domina il solco della valle dell’Esino su cui l’eremo strapiomba.  Passando da Fonte d’Olmo era un attimo scendere giù per la Quagna, prima quella Arda e poi quella Vassa fino ad arrivare a Case La Valle.   Benché da alcune testimonianze risulta che diversi abitanti di questi insediamenti abbiano avuto un ruolo di sostegno alla Resistenza, nessuno di loro risulta nell’elenco RICOMPART, a dimostrazione che non tutti coloro che si impegnarono inoltrarono poi domanda di riconoscimento.   Da Case la Valle, risalendo il corso dell’Esino verso le sorgenti, si raggiungeva Case Rosse (le Case Róscie), l’ultimo nucleo abitato prima di San Pietro.  Oggi non resta più nulla.

Serbiamo almeno la memoria di uno dei suoi ultimi abitanti:

PADELLETTI Sebastiano

(1904 – 1982). Nato a Palazzo da Venanzo e Mariantonia Picchietti, la famiglia si trasferisce poi alle Case Rosse.  Si sposa nel 1934 con Agostina Pocognoli.  Durante il periodo della Resistenza le Case Rosse pullulavano di infanti, una pipinara: solo nella casa di Sebastiano c’erano ben otto bambini da 0 a 9 anni, di cui uno nato proprio nell’aprile del ’43, poco prima che Sebastiano cominciasse ad essere operativo nel GAP Esanatoglia. 

 

Sebastiano Padelletti con la moglie Agostina Pocognoli

 

 

 

 Altro importante punto di avvistamento e anche di transito per la valle di Palazzo che fungeva da collegamento con il Gruppo Eremita di stanza sulle pendici di Gemmo, attraverso il valico de la Rocchetta o il fondo valle de ‘lu fónnéllu‘ fino a Capriglia per poi risalire a Cantalupo, era Fonte la Torre, da tempo immemorabile proprietà dei Pongelli prima che passasse ai Monti De Luca.  In quel casolare lungo le pendici del Monte la Costa, in quel periodo c’era la famiglia di

CARSETTI Nazzareno

di Domenico e Rosa Tozzi (1893-1978), coniugi, entrambi riconosciuti membri del Gruppo Eremita; genitori di Micuccio (1925) e di Isidoro (1930).  Come sarà per diversi altri, abitando in campagna ebbero modo di venire a contatto con le formazioni partigiane a cui fornirono sostegno logistico. 

 

Nazzareno Carsetti

Nazzareno si racconta così:  “Prestata ospitalità alle truppe partigiane, fornito loro viveri, nella mia casa hanno avuto luogo convegni armati di partigiani, ho fornito loro le notizie riguardanti le attività delle truppe tedesche e fasciste, ho trasportato continuamente viveri e munizioni.“. 

 

 

ANTONINI Maria

Maria Antonini

(1890-1962) di Giambattista Natale e Bartolomea Todini (1890-1962); la moglie di Nazzareno così descrive la sua attività: “Ho cucinati i viveri per i partigiani, ho fatto loro il pane, lavata la biancheria, scendevo nei paesi dove risiedevano le truppe tedesche, in special modo a Matelica per attingere notizie, nei giorni di combattimento ho trasportato in montagna i viveri per i combattenti.”.

 

 

CARSETTI Giuseppe

(1923-1945) era uno dei figli di Nazzareno e Maria.  Morto nell’immediato dopoguerra in giovane età.

 

Di lui ci resta solo questa scheda.

 

 

Sotto a Fonte la Torre all’imbocco della valle di Conca, stessa proprietà, c’era Santa Lucia con la casa cosiddetta ‘de li Ruscitti‘.  

LACCHE’ Nazzareno

  (1903 – 1989)  di Giuseppe e Erminia Tozzi. Anche per Neno de li ruscitti, così lo ricordiamo, manca il fascicolo personale, ma è attestata la qualifica di Patriota per l’appartenenza al GAP di Esanatoglia dal 20 novembre del ’43 al 30 giugno del ’44.   

 

 

 

Prima di scendere a valle, lasciando la postazione di San Cataldo, non possiamo dimenticare due luoghi che, in queste adiacenze, ebbero ruoli particolarmente importanti nelle vicende che raccontiamo.

Innanzitutto l’ex convento dei Cappuccini, o Villa del Seminario, o Monastero di Fontebono, ovvero “Li Frati”, che ci consegna l’interessante figura di  

BOTTACCIO Rosa

  (1912 – 2004) figlia di Nazzareno e Erminia Rosini. 

Rosa Bottaccio e Giuseppe Tozzi il giorno delle nozze (2 marzo 1935)

 

Custode del Convento era Giuseppe Tozzi (“Peppe de li Frati“) che lì abitava, nella casa a fianco alla Chiesa, insieme a sua moglie, Rosa Bottaccio appunto, e al figlio Nazzareno di otto anni.  La posizione del convento e le sue potenzialità logistiche furono sfruttate in vario modo durante quel periodo. 

Manca anche qui il fascicolo personale a spiegarci perché Rosa, nel 1947, fu riconosciuta come Partigiana, ma immaginiamo che non potesse non avere un ruolo in quel continuo viavai che animava la strada e i sentieri che dal paese risalivano per San Cataldo e che inevitabilmente incrociavano l’antico convento.  Profughi, partigiani, truppe neozelandesi, in diverse occasioni se ne servirono da ricovero e da punto di riferimento.  Peppe era molto spesso lontano da casa per lavoro e a Rosa capitò di dover affrontare quelle incursioni da sola.  I ricordi rimasti in famiglia, come sempre, sono scarni.  E’ rimasto il racconto di improvvise fughe, di Rosa e del piccolo Neno, per nascondersi nel bosco quando da lassù si avvistavano movimenti di truppe tedesche provenienti da Matelica ed era facile immaginare che l’obbiettivo fosse proprio l’Eremo che era sopra di loro.   I ricordi di irruzioni di soldati tedeschi che mettevano a soqquadro la loro casa.  In una di queste occasioni  la storia dello scampato pericolo di trovarsi, al ritorno in casa dopo il saccheggio, privati di alcuni modesti risparmi non adeguatamente nascosti:  non furono toccati, pensò Rosa, forse perché custoditi insieme ad una tessera del pane che recava l’effigie del fascio.  Ma i momenti più bui, di maggior terrore, erano da rimuovere e quindi banditi dai racconti o conservati come vaghi accenni.  Qualche parola in più sull’ospitalità concessa alle truppe neozelandesi, questo sì.  Ormai con la tensione allentata, la loro presenza era associati alla libertà, alla rinascita.   Ci piace sottolineare che nel periodo per il quale la Commissione riconobbe il suo ruolo di Partigiana, ovvero dal 15.11.1943 al 30.6.1944, Rosa era incinta.   Il 27 giugno del ’44, in luogo più sicuro de li Frati (all’Àjiuri de sotto), diede alla luce Antonia che, come lei stessa oggi racconta, nacque mentre dalla vicina collina di San Giovanni rimbombavano gli ultimi colpi dei tedeschi in ritirata.  Ne dovettero trascorrere diversi di quei caotici giorni perché Peppe de li Frati trovasse modo di iscrivere la neonata in Comune.  Lo fece il 6 di luglio, qualche giorno dopo dei festeggiamenti esanatogliesi per la Liberazione.   

 

Altro luogo particolare con un filo diretto con la montagna è Macereto alle porte della Valle dello Stretto (“lu Strittu“), via diretta per raggiungere Fonte la Valle, lungo il cui percorso  furono uccisi i tre civili Lacchè, Luciani e Pettorossi da parte dei partigiani. 

Nell’ultimo casolare, prima di intraprendere il sentiero che si inerpicava nella la macchia, abitava

POCOGNOLI Candido

(1890-1971) di Antonio e Maria Oliva Marconi.  Marito di Annita Felicioli, è il progenitore di coloro che tutt’oggi vi abitano.

Se prestiamo fede alla ricostruzione fatta da Grifoni, Candido e la sua famiglia furono testimoni di quel transito del 3 luglio del ’44 che che vide Lacchè Francesco, Oscar Luciani e Felice Pettirossi condotti dai partigiani montenegrini su per la Valle dello Stretto verso la morte.  

 

 

 

A valle…

Lasciare i rifugi montani per necessità operative, in occasione di ricongiungimenti con altri gruppi, per azioni militari, sabotaggi o missioni di altro genere, comportava la necessità di poter godere di appoggi a valle. 

Nella campagna proiettata in direzione del fabrianese, si partiva dal primo rifugio su cui fare affidamento che era  “Casa de Sofìa“, alla fine di Viale Fontebianco dove viveva

LACCHE’ Raffaele

(1897 – 1984) di Gioacchino e Sofia Squilli. Nel 1921 sposa Teresa Cattarulla. 

Confidiamo che dalla famiglia possano emergere ricordi del suo impegno.  Fascicolo personale assente, nessuna notizia di ciò che fece dal 10 ottobre del ’43 al 30 giugno del ’44, periodo nel quale risulta attivo nel G.A.P. Esanatoglia.

 

 

 

 

In località Le Vaie in posizione defilata e infossata viveva 

CARSETTI Mario

(1925 – ?) di Giuseppe e Celeste Spitoni.  Abitava in quel luogo recondito con la moglie Nicolina Sestili.  Nel 1959 emigrò a Roma.

 

 

A Chiusìa, in una posizione di comodo transito provenendo da Macereto per proseguire verso Collamato, il supporto era garantito da 

BULDRINI Francesca 

(1888 – 1955) di Rocco e Domenica Bottaccio, moglie di Cataldo Tozzi.   Non c’è il suo fascicolo ma si spera che il coinvolgimento dei tanti nipoti possa far recuperare qualche notizia sul suo impegno.

 

Francesca Buldrini

 

 

A Bascoccia, passava l’antica strada che collegava il nostro paese a Collamato e quindi a Fabriano, prima che si costruisse quella che ancora oggi percorriamo.  Un punto sicuro di approdo e di sostegno era costituito dalla casa di 

TOZZI Alessandro  

(1896 – 1986) di Vincenzo e Angela Rocchegiani.  Sposato con Maria Buldrini.  Nel maggio del 1944, nello stesso periodo in cui egli risulta attivo nel Gap Esanatoglia,  suo figlio Colombo veniva deportato in Germania. 

 

Alessandro Tozzi

 

 

 

Nella campagna che s’affacciava verso Matelica assumeva particolare importanza la casa di Canale, “succìma a la piàgghija“, da cui si poteva controllare “la dritta de Valmòri“. Nel casolare colonico dei Giordani era a mezzadria la famiglia di

BOTTACCIO Giulio

(1879 – 1962) di Luigi e Filomena Cioccio.  Marito di Maria Buldrini. 

 

Giulio Bottaccio

 

 

 

BOTTACCIO Giovanna

(1901 – 1973) sorella di Giulio e moglie di Nazzareno Mosciatti di cui rimase vedova a 32 anni.

 

 

Nei pressi dei confini tra Esanatoglia e Matelica tornava particolarmente utile la posizione di Calle, perché collegava i due centri con una viabilità alternativa a quella principale. In quel nucleo i Partigiani poterono contare su

 

MIGLIORELLI Quinto 

(1915 – ? ) originario di Gagliole ma colono a Calle a partire dal 1941.  Resistette appena qualche anno nel dopoguerra e poi prese, come tanti, la via dell’emigrazione.   E’ stato calcolato che tra il 1882 e il 1960 arrivarono al porto di Buenos Aires, principale porto dell’Argentina, 2.313 navi che trasportavano nuovi immigrati. Da una di queste, la motonave ‘Francesco Morosini’ appena varata a Genova, il 10 luglio 1948, mise piede in terra d’Argentina anche Quinto con tutta la sua famiglia. Da lì non ritornò mai più.

 

 

 

Per alcuni nominativi non siamo ancora riusciti ad individuare una collocazione precisa.  Riservandoci di integrare le notizie che li riguardano, li citiamo ugualmente perché anch’essi formalmente riconosciuti come partecipanti alla lotta di Liberazione. 

 

BINI Ideale

(1914 – ?)  nato come figlio di n.n. con il cognome Ginepri,  all’età di vent’anni fu riconosciuto legalmente da Ausilia Bini, della omonima famiglia che intorno al 1850 si impiantò ad Esanatoglia, provenendo da San Severino, con il capostipite Vincenzo che sposò l’esanatogliese Cecilia Angelici.  

 

CARSETTI Marianna

di Luigi e Caterina Procaccini (1884-1971), moglie di Pedica Angelo.

 

 

DOLCE Mariano

 ( 1922 – 1996) di Nicola e Barbara Eleonori, nel 1945 coniugato con Pocognoli Dina

 

 

 

Mariano Dolce

 

 

GAGLIARDI Luigi

  ( 1909 – ? ) di Vincenzo;  di origine esanatogliese ma nato a Foggia (Isole Tremiti); risulta presente in due schede, una nella Brigata Spartaco che però operò prevalentemente in Toscana e l’altra nel Gap Esanatoglia. Non sono state trovate notizie sul suo conto.

 

PICCHIETTI Maria

  (1899-1979)     di Antonio e Elisabetta Bartocci, moglie di Cataldo Pocognoli fu Giuseppe (uno dei 6 figli maschi del patriarca Gioacchino).  Suocera di Dolce Mariano (vedi)

 

Maria Picchietti

 

POCOGNOLI Giuseppe

  (1907 – 2001). Di Giuseppe e Bartolomea Modesti.  Nato alle Case Rosse.  Sposa nel 1936 Giovannina Bartolini.  Stando alla nascita dei figli, in quegli anni si sposta tra Case Rosse, La Valle e Contrada Mattone. 

 

 

QUARESIMA Maria

(1912 – 1966) di Sante e Anna Tozzi.  Inabile, nubile.  Loc. Mattone 3, dal 1959 Loc. Caprareccia 7.  

 

GAMBINI Lucia

  (1914 – … ) Di Filippo nata a Matelica il 5.8.1914.  Nella scheda è indicata con il cognome del marito, Pocognoli Gioacchino.

 

Lucia Gambini

 


 

Nel trasferire il racconto all’interno del paese, che per le sue ridotte dimensioni non possiamo che considerare nella sua unitarietà, riprendiamo l’ordine anagrafico, salvo accorpare i membri di un medesimo nucleo familiare.

 

BOTTACCIO Antonio

di Damaso e Celestina Lorenzetti (1925 – 1992).   Chi ha una certa età lo ha conosciuto con il nomignolo di ”Mao”, uno dei personaggi che hanno popolato la vita paesana dal dopoguerra fino a tutti gli anni ‘80.  Incancellabile il ricordo di quell’alone rosso che circondava la sua figura sul trattore che trainava quella trebbiatrice che allora ci appariva come un enorme e scombiccherato marchingegno. 

 

Antonio Bottaccio

 

più o meno era così…

 

Il suo fascicolo custodisce una lettera vergata a mano in cui riassume il contributo che prestò al movimento partigiano.  C’è anche la versione dattiloscritta, redatta evidentemente per facilitare la lettura; l’estensore si è preoccupato anche di scremare qualche sgrammaticatura e rendere la forma più snella, togliendo però genuinità al racconto.  Preferiamo affidarci senza dubbio a quella originale che ci restituisce con maggior vigore e verosimiglianza il clima di quei momenti e il sentimento autentico di Mao

 

 

 

Antonio racconta particolari sulla sua partecipazione alla lotta armata e in particolare sullo scontro coi nazifascisti il fatidico 1° aprile del ’44 in cui fu ferito Annibale Pacini (nonchè ucciso il fratello di questi Alberico) che lui soccorse.  Vale la pena trascriverla per intero:

Dopo tante volte essere stato chiamato alle armi dal comando tedesco (con manifesti) non vi era rimasto che la montagna per sottrarsi al loro servizio, così in febbraio 1944 ebbe inizio quanto segue:  Furono così gentili le famiglie di Gaetano e Nazzareno Pocognoli di ospitarmi durante il tempo dell’occupazione tedesca.  Lassù trovai partigiani tra i quali tre Negri.  Così ebbi la fortuna di aiutarli quanto meglio potevo.   Partecipai con loro a quella piccola lotta su alla conceria dove poi assieme ad un mio compagno partigiano portammo i due tedeschi dove il comando partigiano ci disse (uno dei due era morto) l’altro gravemente ferito.  Così dopo non piccole tribolazioni si arrivò al 1° aprile (giorno non troppo facile dimenticarlo).  Con me avevo un negro di nome Aden era ferito ad una coscia (eravamo armati) ma era troppo numerica la forza tedesca per poter difendersi così ci nascondemmo, dopo parecchie ore sotto la neve io scappai per esplorare quando ad una distanza vedo un uomo a terra, mi avvicinai riconobbi il mio compagno (Partigiano) Annibale, era ferito anche lui in una coscia.  Lo presi, portai in una casa assieme ad una donna lo curammo alla ferita.   E così ebbe fine la prima avventura dato mi dissero che dovevo partire; non volevo; ma tutti i compagni e sopratutto i miei mi costrinsero; lo feci per salvare i genitori.  Dopo essere stato tre o quattro volte a trovare il compagno Annibale ricoverato in una capanna e ben nascosto parti(i) ma con una sola idea fuggire e così fu, il 7 maggio scappai da Bologna dopo aspra sofferenza in mezzo a rastrellamenti; trovai bande di partigiani e così il giorno 19 arrivai di nuovo dove prima ero ricoverato, vidi ancora i miei compagni partigiani ma erano rimasti pochi e feriti così bisognava star zitti e nascosti per non essere nuovamente attaccati e questultima fucilati.  Poi arrivarono i cos’ detti ‘Liberatori’.  Ebbe fine la paura la morte e così ci potemmo stringere la mano tutti allegri.   Con ciò ho raccontato qual cosa, ci vorrebbe un romanzo per dir tutto.”.

Non è questo un “romanzo“, né vuole esserlo, ma raccogliamo l’indicazione di Mao cercando di aggiungere altro, quanto di più possibile, a quel “qual cosa“.

 

 

CHIAPPA Giovanni

di Giuseppe e Maria Onesta (1893-1979). Fece parte della prima Amministrazione Comunale del dopoguerra presieduta da Domenico Libani. La sua famiglia al completo risultò impegnata e coinvolta nell’appoggio alla lotta di Liberazione.

 

Giovanni Chiappa

Insieme al capofamiglia, due dei suoi figli, avuti dalla moglie Ada Santaroni, ottennero il riconoscimento:

CHIAPPA Maria

(1923-1999) sposatasi a Fabriano e lì trasferita. Nel suo fascicolo una lettera in cui ricorda che il 3 maggio 1944, con il paese ormai occupato militarmente dai nazifascisti dopo la rappresaglia del 1° aprile, “venne sequestrata e condotta presso un tribunale speciale dalle SS Tedesco Italiane

 

 

CHIAPPA Giulio

(1928-2012). Altro figlio di Giovanni e Ada.

Giulio Chiappa

 

Giovanni e la sua famiglia nella loro attività di fiancheggiamento, ospitarono ed accudirono un partigiano ferito dai tedeschi, Boso Petrovic, nome di battaglia Natale.  Per questo motivo verso l’una di quel tragico primo aprile del 1944, prima che in Piazza Cavour venissero fucilati Amos Ubaldini e Vito Pistola, la casa venne parzialmente distrutta da una carica di esplosivo piazzata per rappresaglia dai nazifascisti.

 

COLTRINARI Alberto

(1930 – 2016) di Alessandro e Albina Coltrinari.  Tredici anni appena, il più giovane in assoluto del nostro elenco.  Per la verità nella sua scheda è indicato un anno di nascita errato, ovvero 1929, che all’epoca della redazione della scheda stessa avrebbe reso più credibile la sua partecipazione alla lotta partigiana. 

 

Alberto Coltrinari (al centro)

 

La sua presenza si può spiegare col fatto che la sua nonna materna, Sestilia Cambriani, era a quel tempo la custode di San Cataldo dove trovavano rifugio i partigiani della omonima Brigata.  Nella sua scheda scrive: “Per nove mesi ho servito il gruppo, da staffetta, da portatore di viveri e indumenti ho corso il rischio più di una volta di rimanere sotto i colpi di quelle belve fasciste.“.

 

 

 

DI PIERO Antonia

(1907-…)  (indicata nella scheda con il cognome da sposata) di Socrate e Giulia Santaroni.  Aveva sposato il matelicese Renato Etiopi, accolto qui da noi come “pisciafriddu”, che fu nominato dal CLN nella prima Amministrazione Comunale del dopoguerra come rappresentante della Camera del Lavoro .  La coppia emigrò a Roma nel 1961.  

 

 

FURBETTA Leone

(1904 – ?) di Antonio e Maddalena Marcellini.  Nato a Fabriano.  Coniugato con Ada Olivieri.   Arrivò come Medico Chirurgo  a Esanatoglia nel 1938 e vi rimase in servizio fino al 1947 .   Aveva due figli piccoli di 4 e 5 anni; un terzo figlio gli nacque il 18 novembre 1943

Nell’elenco figura anche il fratello Diogene (1918 – ?)  come partigiano del Gruppo San Cataldo dal 20.10.1943  al 2.7.1944 ma, per motivi che ignoriamo, risulta con  “qualifica revocata”.

 

LATTUCHELLI Giselda

(o Gisella). Di n.n.  (1885 – 1957)  Era rimasta vedova nel marzo del 1943, pochi mesi prima che venisse a trovarsi impegnata nel sostegno logistico alla lotta partigiana che le valse il riconoscimento di “Patriota“.   Non ci è dato di conoscere nei dettagli la consistenza del suo impegno perché, anche per lei, manca il fascicolo personale.  Confidiamo che qualcuno dei tanti nipoti conservi memoria di ciò.   L’infaticabile Eva Chierici, storica ostetrica di lunghissima carriera, l’aveva fatta nascere, sola, in via Spiazze 41, e le aveva imposto quel nome, stravagante com’era d’uso in tali casi.  Eventualità assai rara per i figli soli, ebbe la fortuna e la forza di sopravvivere e poco lontano da lì, al 17 sempre di Via Spiazze, mise su famiglia sposando Antonio Lacchè.

 

Giselda Lattuchelli

 

 

MODESTI Olindo

(1927 – 1948) di Bartolomeo e Nicolina Carsetti, manovale, morto a 21 anni.    Risulta militante nel Battaglione Mario.  I familiari ricordano solo che, Olindo e suo fratello Luigi furono catturati da una colonna militare tedesca che risaliva da Matelica verso Esanatoglia per una operazione di rastrellamento; trattenuti in cattività in un casolare lungo la strada, per tutta la durata dell’operazione, per poi essere ripresi dalla stessa colonna militare e deportati in Germania fino alla fine della guerra. 

 

Olindo Modesti

Nel suo fascicolo c’è solo una pratica della Corte dei Conti relativa al riconoscimento datata 1966; 18 anni dopo la sua morte.

 

MODESTI Marzio

(1919 – 2003) di Giuseppe e Apollonia Fantini.

Da bambino era rimasto leso ad una gamba per una caduta curata tardivamente, lasciandogli una zoppia che lo aveva dispensato dal servizio militare, ma che non gli impedì di percorrere in lungo e in largo le varie postazioni partigiane della nostra zona con compiti di staffetta e approvvigionamento. 

Marzio Modesti

Le testimonianze familiari ricordano l’orgoglio con cui raccontava dei percorsi clandestini, su una cavalla messa a disposizione da uno dei tanti Pocognoli di cui era popolata la montagna, per raggiungere le postazioni partigiane.  Ardore giovanile, ansia di riscatto per la menomazione, spirito ardimentoso alimentato da una innata curiosità e altro ancora,  secondo i suoi familiari ne facevano una sorta di folletto che ogni volta che usciva di casa lasciava in apprensione la povera madre convinta che prima o poi si sarebbe cacciato nei guai.

 

 

 

Un capitolo a parte meriterebbe la famiglia Pacini, perché annovera nell’elenco ben quattro fratelli tra cui Alberico, l’unico partigiano esanatogliese caduto in combattimento, oltre ad Annibale, Antonia e Federico.

 

PACINI Alberico

(1927 – 1944) quattro dei sei figli di Temistocle e Angela Boccadoro furono quindi partigiani.  Angela era figlia di Antonio che venne a fare il beccaio da Fabriano verso la fine dell’800.  Morto Antonio nel 1918, il genero Temistocle ne rilevò l’attività trasmettendola poi ai suoi figli.

Alberico cadde sui piani di Lentino il 1° aprile del’44 durante uno scontro a fuoco con i tedeschi in operazione di rastrellamento.  Tre giorni dopo avrebbe compiuto diciassette anni.

 

Alberico Pacini

 

PACINI Annibale

(1925 – 1996).  Forse anche per la morte di suo fratello, è da sempre stato considerato come una figura iconica della movimento partigiano esanatogliese.  Amava però poco parlare di quel periodo. Anche con i suoi più stretti familiari.   Lo ricordiamo, all’apparenza burbero e irruente ma capace di slanci emotivi che a volte sorprendevano, e quando da giovani chiedevamo racconti su quella sua esperienza partigiana tendeva a sorvolare, ad essere evasivo.  Sì, per lui quel periodo era definitivamente chiuso.   

Per quanto ne sappiamo, in uno dei rari momenti in cui si è prestò ad aprirsi un po’, ci risulta che abbia avuto modo di raccontare la prosecuzione del suo impegno militante dopo la sua esperienza sui monti di casa. Si arruolò nell’esercito cobelligerante italiano che, costituito nel settembre 1944 sulla base del precedente Corpo di Liberazione Italiano (CIL) e composti da più di 50.000 uomini in larga misura partigiani, furono impiegati dall’autunno del 1944 fino alla primavera del 1945, soprattutto sulla linea Gotica. In particolare, sembra che Annibale sia stato impegnato, nel Battaglione “Cremona”, in azioni belliche nel padovano, nella zona di Piove di Sacco. Una ricerca da approfondire.

 

 

Annibale Pacini

 

 

PACINI Antonia

(1923 – Aosta 2009) Nel 1946 sposò Bruno Giovanni Vailati lasciando Esanatoglia.

 

PACINI Federico

 (1929 – Porto Recanati 2011)   

 

 

PISTOLA Vito 

(1898 – 1944) di Antonio e Domenica Bartocci.  Era nato a Palazzo.   Nel 1927 aveva sposato Luigia Mattioli.  Fucilato dai nazi-fascisti in Piazza Cavour il 1° aprile del 1944.  

Vito Pistola

 

Nella sua ricostruzione Grifoni ne parla in questi termini:

Pistola Vito era un imprenditore edile con lunghissima esperienza professionale.  Antifascista fin dalla presa del potere di Mussolini in quanto non accettava la sua antidemocraticità.   Per le sue idee politiche che manifesta senza remore non riesce mai ad ottenere un appalto pubblico.  Nel lavoro e nella vita manifesta sempre una estrema rettitudine morale.  Dopo l’otto settembre si attiva per impedire il ritorno del fascismo e collabora con altri cittadini per impedire la presenza in paese di spie e di provocatori ma non caldeggia mai la lotta armata.  E’ un uomo pacifico ed amante dell’ordine tanto da impedire ai propri familiari di partecipare allo svaligiamento dei magazzini del consorzio agrario.  In piazza si era recato senza timori particolari, in quanto sicuro di dimostrare l’estraneità a fatti delittuosi.  Non considerava che poteva essere condannato solamente per le sue idee politiche che da tempi remoti non erano mai coincise con quelle del potere.

Non proprio identica, più circostanziata e senza perifrasi la dichiarazione resa nel 1949 da Silvio Renaldi, già Commissario Politico del C.L.N. e contenuta nel fascicolo personale di Vito:

Egli faceva parte del Comitato di Liberazione Naz. non appena l’otto settembre.  Prestò tutte le sue attività collaborando il suddetto con i partigiani che stazionavano in Esanatoglia e con il Gruppo dell’Eremita. Rifiutò di esercitare la sua professione di muratore obbedendo in tal modo alle disposizioni che venivano continuamente trasmesse.  In novembre in unione al C.L.N.e di alcuni partigiani aprì i magazzini del grano per rifornire i partigiani e anche per toglierlo ai nazi fascisti correndo voce che questi sarebbero venuti a caricarlo. Prima e successivamente rimanendo collegato con quelli della montagna contribuì attivamente alla lotta di Liberazione ospitando i partigiani nella sua abitazione.  Nell’azione della suddetta rappresaglia venne fermato dai nazifascisti e fucilato per i motivi della sua attività.“.

 

 

Non poteva essere estranea a questo impegno Luiscietta, sua moglie:

MATTIOLI Luigia

(1902 – 1993) di Angelo e Marianna Leoni.  Moglie di Vito e madre dei loro  quattro figli, due appena adolescenti Ivana e Corrado, e due gemelline di poco più di un anno, Pierangela e Marianna nate nel gennaio del ’43.

 

Luigia Mattioli

 

PROCACCINI Duilia

(1922 – 2016) di Sebastiano e Elisa Bottaccio.  Sposa nel 1949 Scaini Gaudenzio e si trasferisce a Roma.

 

PROFILI Paolo

(1912 – 1985)   il più grande dei quattro figli di Antonio e Francesca Grandoni. Il padre muratore e di tradizione familiare di natura ribelle (il padre Paolino renitente alla leva nel nuovo Regno d’Italia e altri spiriti libertari con componenti anarchiche in famiglia).

 

Paolo Profili

 

(E’ stato il mio maestro alle elementari; mi concedo un intimo ricordo affettuoso.) 

Lu Maestru Paolo fu anche Sindaco di Esanatoglia dal 1951 al 1953.

Anche nel suo caso manca purtroppo il fascicolo personale ma siamo in attesa di possibili integrazioni sulla sua figura.

 

 

 

PUGNOTTI Ignazio

(1881 – 1957)     di Innocenzo e Annunziata Travaglini, di professione conciapelli, nel 1906 sposò Bianca Laner da cui ebbe diversi figli.

Ignazio Pugnotti

 

PUGNOTTI Giordano

(all’anagrafe anche Bruno…) (1904 – …. ) di Guido e Francesca Tozzi. Nel 1928 aveva sposato Emilia Tozzi.   Morto a Faenza nel 1978.  Simpaticissimo e arguto personaggio con un debole per le libagioni tanto da meritare il nomignolo che lo ha amorevolmente accompagnato lungo l’arco della sua esistenza: ‘Sborniafissa‘.

 

 

 

TOZZI Emilia  

(1907-1968) di Cataldo e Maria Procaccini, sorella di Antonio (vedi) e moglie di Giordano Pugnotti.  Risulta attiva con il Battaglione Mario.

 

 

Altra famiglia che rappresenta un emblema della Resistenza esanatogliese è quella di

RENALDI Silvio

( 1902- 1978). Di Alessio e Maria Laner.  Non è del tutto straordinario per un paese così piccolo come il nostro, ma la testimone che controfirma il suo atto di nascita è Sestilia Cambriani, che una quarantina di anni dopo sarà la custode di San Cataldo al tempo in cui l’Eremo funzionò da rifugio per i partigiani dell’omonimo GAP di cui Silvio fu uno degli elementi di maggior spicco con il ruolo di Vice Comandante e Commissario Politico. 

 

 

 La sua casa da sempre sotto controllo da parte dalle autorità del regime, lo fu ancor di più in quel periodo in quanto ospitava anche una confinata politica, Myra, una pianista russa che compare nelle cronache e nei racconti di quel periodo. Ne hanno parlato Grifoni, Bolognesi, ne parla perfino Renzo Binni e tutti con versioni divergenti (sul perché della sua presenza, sulla sua nazionalità) accomunate solo dall’alone di mistero sulla sua figura.  In realtà si trattava di Myra Tscherniawsky, ebrea russa, confinata per motivi politici.  Pianista di buon livello che aveva operato per diverso tempo in Ungheria prima di trasferirsi, ne ignoriamo il motivo, in Italia.  Da un memorandum dell’Ufficio Emigrazione degli U.S.A. dell’aprile del 1947 risulta che lasciò Roma in quell’anno per trasferirsi in America.  Avendo alloggio nell’abitazione dei Renaldi, non è da escludere che abbia avuto anche lei un qualche ruolo nel movimento partigiano locale.  Silvio nel 1927 sposa Dema Menghini, l’anno successivo nasce Sergio.  

 

Silvio Renaldi

 

MENGHINI Dema

(1906-2006) di Eugenio Giuseppe e Anna Procaccini.  Moglie di Silvio Renaldi

 

Dema Menghini

 

Nella sua testimonianza emerge l’importanza di casa Renaldi come punto di riferimento del movimento partigiano della zona:

[…] La mia casa è stata sempre a servizio per riunioni di vari com/ti lasciando a disposizione camera da letto, cucina e camera da pranzo.  Parecchi giorni il comm/te di Lentino  Bartolo Chiorri fu ospite nella nostra casa assieme al Comm.te della Baldiola un capitano inglese, perché bloccati dalla neve.  Il tenente Cardona on il fratello Armando si sono trattenuti parecchi giorni trattati come persone di famiglia.  Il tenente Cingolani si recava spessissimo nella mia abitazione per la pulizia personale e per pulizia degli indumenti.   Il 1° aprile 1944 la mia casa fu fatta saltare per rappresaglia dai nazi fascisti rimanendo sprovvisti di ogni indumento personale. […]’.

 

 

RENALDI Sergio

(1928- 2024) di Silvio e Dema Menghini.  Sergio de Dema, l’ultimo partigiano esanatogliese.   Se n’è andato poco prima del 25 aprile dell’anno scorso, e ancora ci chiediamo come sia potuto accadere che nel discorso ufficiale per la celebrazione della ricorrenza della Liberazione, benché un po’ meno vago e reticente del solito riguardo ai valori della Resistenza, pur ricordando (si cita a memoria) che “occorre rendere onore ai partigiani che hanno lottato per la nostra libertà”, non si sia spesa una sola parola per ricordare l’ultimo di questi Partigiani, venuto a mancare appena qualche settimana prima e che, peraltro, aveva  anche ricoperto l’incarico di Consigliere Comunale nel nostro paese dal 1982 al 1988.

(Ah!… La memoria…

 

Sergio Renaldi

 

 

 

MENGHINI Anna

(1875 – 1958)  In realtà si tratta di Procaccini Anna in Menghini, figlia di Pacifico e Zenaide Bartocci.  Aveva sposato Giuseppe Eugenio Menghini. Madre di Dema e quindi suocera di Silvio Renaldi.

Anna Procaccini

 

RICCIUTELLI Antonio

(1903-1978) di Pacifico e Celeste Costantini. Sposa Antonia Strinati.  

 

 

TACCHI Carlo

(1909 – ?).  Di Francesco e Elvira Stefanelli, nato a San Severino Marche, viene a Esanatoglia nel 1936 quando sposa la nostra compaesana Leodice Panichelli; qui resta fino al 1949 quando torna a San Severino.   Dopo Domenico Libani,    fu indicato come Sindaco di Esanatoglia dal Comitato di Liberazione Nazionale.

 

Carlo Tacchi

 

TOZZI Antonio 

(1919-1956) di Cataldo e Maria Procaccini.  Conciapelli.  Era fratello di Emilia, la moglie di Giordano Pugnotti (vedi).  In quel fatidico anno in cui si concretizza la sua collaborazione al movimento partigiano, sposa Rosa Cingolani (‘Rosa la vidèlla’) e nello stesso periodo in cui risulta attivo nel G.A.P. di Esanatoglia (25.11.19434 – 30.06.1944) nasce anche il figlio Cataldo (‘Aldo lu vidèllu‘).

 

Antonio Tozzi

 

TRITARELLI Hamilton 

(1927 – 1972)  di Luigi e Settimia Lucaretti.   L’anglicismo per noi impegnativo era stato trasformato nel più accessibile “Mìrdone”.   

 

Hamilton Tritarelli

 

Nel suo fascicolo un solo documento: il ricorso, poi accettato, per essere stato in un primo tempo escluso dal riconoscimento.   Per sostenere la sua richiesta, scrive: “Dichiara di aver appartenuto al Gruppo S.Cataldo dal 15.9.1943 al 28.5.1944, giorno in cui fui catturato e deportato in Germania. Rientrai in Italia 1.10.1945.  Dichiara inoltre di avere svolta la seguente attività: fin dall’inizio, ho preso parte a tutte le azioni di fuoco del Btg. fornito armi e munizioni viveri indumenti.   Particolarmente ho svolto il servizio di staffetta.   Il giorno 28.5.44 durante un rastrellamento delle truppe nazi-fasciste, venni catturato e deportato in Germania.”

 

 

Nessun ricordo particolare da parte dei familiari.  Un esperienza di vita rimossa insieme a quella, di certo ancor più dura e amara, del periodo della deportazione in Germania da cui tornò, dicono, ridotto ad una larva umana.  Tutto indicibile, inenarrabile, da seppellire in qualche angolo buio della memoria.  

 

 

 

UBALDINI Amos

 (1910 – 1944) di Goffredo e Maria Pacini.  Conciapellli.  Nel 1942 rimane vedovo di Ida Pugnotti che muore a 32 anni lasciandogli tre figli piccoli di 2, 6 e 7 anni.  In brevissimo tempo, appena qualche mese, si risposa con Edera Bini (vedi), anche lei vedova e con tre figli piccoli a carico.  Dalla loro unione nascerà poi Eno che non riuscì conoscere il padre, perché il 1° aprile, quando questi venne fucilato in piazza, era ancora nel grembo materno. Vide la luce un paio di mesi dopo.  Attingiamo anche qui da Grifoni una sua descrizione: “era al contrario (di Vito Pistola, l’altra vittima della rappresaglia, Ndr), un uomo integrato nel sistema anche se non militante.  Durante il primo periodo della guerra si era offerto per recarsi a lavorare in Germania.  Ma è stata appunto questa esperienza a maturarlo sulla pericolosità dell’alleato tedesco.  Cerca di dimostrare che i tedeschi sono dei razzisti in quanto si reputano superiori agli altri popoli.  In caso di vittoria avrebbero dominato da padroni.   Da qui lo schieramento a fianco del C.L.N..  Ma non prende mai le armi e nemmeno caldeggia azioni militari.

 

Amos Ubaldini

 

BINI Edera

(1908 – ?) di Paolo e Clelia Fortini.  Certamente singolare, ma anche emblematica delle fatalità delle vicende umane, la storia di questa donna che, nel giro di pochi anni, da moglie del Segretario locale del Fascio (Dante Branciari, morto in un incidente stradale nel 1937), diviene moglie di una vittima del nazifascismo.

 

UGOLINI Vittoria

  ( 1904 –  ?)  di Filippo e Laura Antonini.   La Maestra Ugolini… originaria di Fano.  Fa da contraltare alla figura della Maestra Fedora (Fedora Lazzarini) che si distinse per il suo attivismo fascista nei primi anni del regime.  Venne a Esanatoglia nel 1934.  Fece parte della prima Amministrazione Comunale presieduta da Domenico Libani.

Nelle testimonianze di Angeli (vedi) provvedeva a sfamare gli inglesi che la stessa Angeli ospitava e curava in casa sua. 

 

 

 

 

Nell’elenco RICOMPART ci sono infine figure legate a al nostro paese, solo per nascita o per particolare frequentazione,  di cui riteniamo giusto tener traccia anche se, almeno per gran parte di loro, l’adesione alla Resistenza si svolse in altri contesti.

 

BARTOCCETTI Silvio

(1904-1975) di Ignazio e Filomena Marinelli.  Compare nel nostro elenco intanto perché era nato a Esanatoglia in località Bascoccia (‘ghjio’ Mmascòccia‘).   Per la consueta girandola della mezzadria, la sua famiglia si trasferì successivamente a Collamato.  Grazie a Gisleno Compagnucci, suo nipote e cultore di storia locale, possiamo ricostruire un breve profilo del suo impegno resistenziale. 

Silvio mise la sua abitazione a disposizione del tenente Cardona comandante dei partigiani del Gruppo Tigre che operava nella zona del fabrianese.  La sua casa in Piazzetta San Giustino divenne una base del gruppo ospitando anche diversi appartenenti al CNL di Fabriano, tra cui figure di spicco come i medici Palombi e Engles Profili in occasione dei loro passaggi da Esanatoglia verso Fabriano.  Ciò testimonia della rete di collaborazione tra i vari raggruppamenti che operavano nella lotta clandestina.  Nel covo di Collamato veniva prodotta e conservata la stampa clandestina che non poteva essere fatta nelle tipografie di Fabriano.  I partigiani venivano rifocillati e accuditi dalla moglie di Silvio, Quinta Strinati, che tutti loro consideravano come una mamma.  Per una delazione di qualche spia fascista del paese, la sua grotta posizionata nelle mura della cinta del castello, venne perquisita durante un rastrellamento.  Fortunatamente la sera prima i partigiani avevano spostato tutte le armi verso Lentino e i nazifascisti non trovarono nulla.  Silvio riuscì a scappare da un passaggio scavato nel sabbione che collegava la grotta al castello posizionato sopra.  I nazifascisti razziarono tutte le provviste che la famiglia aveva accantonato per l’inverno.  Non perquisirono fortunatamente la casa dove avrebbero trovato la moto di Cardona e le sue divise oltre a quelle del fratello Armando.

Nel dopoguerra Silvio Bartoccetti mantenne il legame di amicizia con Cardona che, nel frattempo divenuto Generale al Ministero della Difesa, venne a trovarlo riconoscendogli un particolare rispetto per aver messo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi familiari in modo disinteressato. 

 

  Questa foto, scattata proprio in quella occasione, ritrae Silvio e il Gen. Cardona all’interno della grotta utilizzata come deposito di armi.   Il generale la conservava in bella mostra sulla sua scrivania al Ministero.   Sottolineiamo con piacere ed orgoglio la scrivania di un Generale, al Ministero della Difesa, su cui campeggia la foto di un partigiano, un cimelio della Resistenza.

 

 

Silvio Bartoccetti (a sinistra) incontra il Gen. Cardona

 

Proprio il Generale Egidio Cardona (per tutti Gigi), sulla cui figura di comandante partigiano rimandiamo all ritratto che ne fa Terenzio Baldoni (https://labstoria.org/egidio-cardona-il-partigiano-gigi/) in occasione di un suo ritorno nel 1971, accompagnato da un giornalista della rivista dell’Esercito Italiano, ‘il Quadrante‘, sui luoghi che lo videro combattere.   Oltre ad incontrare Silvio Bartoccetti, passeggiando per Collamato gli capitò di imbattersi in un’altra sua vecchia conoscenza.  Dell’incontro il giornalista così riferisce: “Un certo B. autotrasportatore, vedendoci, ci saluta in fretta e si eclissa. Torna poco dopo per consegnare a Gigi un vecchio portafoglio stracolmo di pezzi di carta: messaggi, lettere, foto.  Gigi si ritiene certo di non averglielo mai dato; perché lo avrebbe fatto? E pensa se per caso…; ma no…! E’ passato tanto tempo e ora non c’è che da ringraziare.  Il B. era allora in contatto con le due parti per necessità di mestiere, e doveva barcamenarsi; ai partigiani assicurava i rifornimenti di viveri ed essi gliene erano grati: questo è tutto.”.  Poiché gli autotrasportatori di Collamato non è che fossero poi molti…, nulla vieta di pensare che a quel B. potesse corrispondere il cognome Binni, presente con diversi suoi membri nell’elenco del fondo RICOMPART.

 

BINNI Antonio

(Fabriano 1905 – ?) di Nazzareno e Agnese Bocci, impossibile per esanatogliesi di una certa età non ricordarlo associandolo alle omonime autolinee.  La vicenda umana e imprenditoriale della famiglia Binni è ben raccontata nel volume “Non mollare mai – Credi in quello che fai” in cui gli ultimi eredi di quella che potremmo definire una vera e propria dinastia dei trasporti, i fratelli Renzo e Maria Agnese, figli di Antonio Binni e Germana Cimarossa, ricordano appunto il contributo del loro genitore alla lotta partigiana pubblicando il “Diploma d’onore al combattente per libertà d’Italia” concesso dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1986: “Babbo approvava in pieno quanto i partigiani stavano facendo in difesa della libertà, contro la dittatura nazifascista.  E non furono poche le azioni temerarie e pericolose in cui fu coinvolto, che avevano a che fare con il suo mestiere di autista!”.

Non solo, Maria Agnese Binni aggiunge al racconto anche un particolare sulla sua personale partecipazione alla lotta partigiana.  Racconta infatti di come, nonostante all’epoca avesse appena sei anni, sia stata partecipe della Resistenza nell’insospettabile ruolo di staffetta: “Mi sembra di rivedermi ancora, così piccola, con indosso un grembiulino a quadretti bianchi e rossi cucito da mamma.  Aveva una tasca sul davanti, e lì dentro mamma stessa mi metteva, ogni volta, un po’ di sigarette e dei foglietti.  Poi, istruita ben bene da lei, mi avviavo, con tanta noncuranza, verso “lu roccó”, passando accanto agli stipi dei maiali allineati lungo la stradina che si inerpica fin lassù.  Mi raccomandava anche di dire, nell’eventualità che qualcuno mi avesse chiesto: “Agnesì, ddó vai?” che stavo andando a fare una passeggiata.   Camminavo fino ad arrivare nei pressi di tre grosse querce, da dietro le quali sbucava un giovane alto e biondo che, chiaramente, mi stava aspettando.   Il suo nome era Mirko ed era slavo.   A lui davo il contenuto della tasca, senza rendermi conto, naturalmente, che stavo dando un servizio molto utile alla Resistenza.  A parte le sigarette, infatti, quei foglietti contenevano istruzioni indispensabili alle azioni dei Partigiani rifugiati nell’Eremo di San Cataldo.  Quei foglietti, infatti, venivano portati di nascosto a casa nostra da altri partigiani che dovevano comunicare con i loro compagni lassù.  Una volta fu un partigiano stesso, un giovane di Esanatoglia, a mettermeli dentro la tasca, raccomandandomi di portarli subito a Mirko, sempre lassù, presso le querce vicino a “lu roccó”.  Ed io ubbidii con pronta sollecitudine.”. 

 

BINNI Armando

(Fabriano 1902 – ?) fratello di Antonio; l’avvento del fascismo, con il consolidamento dei miti personalistici mussoliniani, gli aveva portato in dono il cambiamento del nome in Arnaldo, ad onore del fratello del Duce.  La variazione restò poi nell’uso comune e come tale era conosciuto.  Socio del fratello nella originaria ditta di trasporti ereditata dal padre e fondatore Nazzareno.  Il suo contributo alla Resistenza è descritto nella lettera presentata dal fratello Goffredo (vedi).

 

BINNI Franca

(Fabriano 1928 – ?) figlia di Armando.

 

BINNI Goffredo

(Fabriano 1903 – Esanatoglia ….), altro fratello di Antonio e Armando.  Il più esanatogliese dei Binni perché stabilì qui da noi la sua residenza e qui visse insieme a sua moglie Santina Perelli.   All’epoca della lotta di Liberazione tutti accomunati dalle possibilità di sostegno ai partigiani che la loro attività gli consentiva.

 

 

CILLA Gaetano

(1906-1972)  figlio del Maestro di musica Elia Cilla e di Teresa Perelli, figura nel nostro elenco perché nato a Esanatoglia da genitori esanatogliesi, ma fu attivo altrove e impegnato nel CLN di Morro d’Alba (AN).  Di lui e della sua illustre figura di musicista ci siamo occupati nel blog (vedi qui). Per quanto riguarda l’impegno nella lotta di Liberazione ricordiamo che fu una presenza attiva nel Comitato di Liberazione Nazionale della zona di Morro come Partigiano Combattente con il grado di Tenente.  Sarà proprio il C.L.N. che, all’indomani della Liberazione, lo nominerà Sindaco di Morro d’Alba.   Resse l’incarico per un paio di anni, fin quando, sembra per dissapori politici, rinunciò a presentarsi alle prime elezioni amministrative e chiuse con l’impegno politico diretto.  Tornò a dedicarsi interamente alla musica, che di lì a poco gli avrebbe regalato non poche soddisfazioni.

 

 

CINGOLANI Nazzareno

(Esanatoglia 1905- Matelica 1974) di Sante e Maria Bottaccio.  Uno dei tantissimi Cingolani che hanno popolato il nostro paese, e in particolare le nostre campagne, a partire dalla seconda metà del ‘700 quando comparvero per la prima volta con quello che possiamo considerare il patriarca locale, Giuseppe da cui si è sviluppata tutta la progenie che oggi, con l’allargamento dei legami parentali, generazione dopo generazione, probabilmente ignora la comune origine.

Dal figlio Giambattista (1800-1870) e Maddalena Barbarossa, presero il via due linee, una di Luigi (1845-1921) e Rosa Onesta da cui discendono la gran parte dei Cingolani giunti fino ad oggi, e l’altra di Domenico (1848-1889) e Domenica Carsetti da cui discendeva il ramo di Nazzareno e che sopravvive con l’amico Tonino “de Fiora”.   Mancando il suo fascicolo, nulla sappiamo di Nazzareno se non che, trasferitosi a Matelica, fece parte del Gruppo l’Eremita dal 25 settembre del 1943 al 2 luglio del 1944.    

 

COSTANTINI Enrico

(Esanatoglia 1880- San Severino M. 1968) di Vincenzo e Maria Isidori contadino a S.Ubaldo.  Si sposò a San Severino dove emigrò nel 1934 .  Risulta appartenente al Battaglione Mario.

 

COSTANTINI Maria

(Esanatoglia 1916 – Matelica 1999) di Vincenzo e Apollonia Paglialunga.  Forse parente di Enrico. Emigrata a Matelica nel 1940 dopo aver sposato Lucio Spitoni.  Appartenente al Gruppo Braccano.

 

ELEONORI Celeste

( Esanatoglia 1881- Fabriano 1970) di Daniele e Giuseppa Ghitarrini.  Una degli Eleonori di prima generazione.  Daniele arrivò piccolissimo subito dopo l’unità d’Italia, dalla originaria Castelraimondo con il padre Amico (Castelraimondo 1827 –  Esanatoglia 1901), la madre Clementina Dionisi, insieme agli altri fratelli e si insediarono dapprima a Palazzo e poi a Fonte dell’Olmo. Da qui si sviluppò la progenie che è arrivata sino a noi.   Nel 1940 emigrarono a Matelica. 

 

ELEONORI Daniele

( 1930 – ? ) di Giuseppe e Annunziata Onesta. Nipote di Celeste.  Nel dopoguerra si sposò a Pregnana Milanese un piccolo Comune nella città metropolitana di Milano dove si trasferì.  

 

ONESTA Annunziata

(Esanatoglia 1905 – Fabriano 1987) di Pacifico e Teresa Spitoni.   Nel 1929 aveva sposato Eleonori Giuseppe.  Madre di Daniele.  Morta a Fabriano. 

 

FRATINI Giulia

(Esanatoglia 1906 – Osimo 1980) di Angelo e Palmina Spazi.  Esanatogliese di nascita, poiché a quel tempo il padre, originario di Castelraimondo, era la Guardia Campestre di Palazzo.  All’età di soli 4 anni si trasferì a Fabriano.  Sposò a San Severino con Francesco Germani e vi si trasferì.  Risulta operativa con il Battaglione Mario.

 

LACCHE’ Vincenzo

(Esanatoglia 1878 – Matelica 1949) di Antonio e Teresa Riganelli.  Sposato nel 1907 con Enrichetta Branchesi di Matelica e ivi probabilmente trasferito.  Lo troviamo infatti come partigiano combattente nel Gruppo Braccano qualificandosi, nella sua richiesta di riconoscimento, nel ruolo di “conducente“.   Spiega infatti che “appena costituitosi il gruppo misi a sua disposizione un mulo già appartenente all’esercito italiano.  Con esso trasportavo continuamente viveri e munizioni per i vari gruppi dislocati nella zona.“.

 

PASSERI Nazzareno

(Esanatoglia 1912 – Matelica 1986). Di Romualdo e Epifania Falsetti.  Nasce a Esanatoglia ‘jo’ la Cima’.  Una delle tante famiglie contadine che il sistema mezzadrile rendeva nomadi.   Nel 1939 sposa Prima Tozzi e si trasferisce a Matelica, dove, rimasto vedovo,  sposerà in seconde nozze Benedetta Boldrini.   Attivo con il Gruppo Roti.

 

PATRIZI Egidio

Non si hanno generalità.  Dalla scheda sappiamo solo che fu operativo nel Gruppo San Cataldo e viene indicato Come “Commissario Politico del Dist. Eremita“.   Per il momento non abbiamo altre notizie.

 

RENALDI Ermanno

(Esanatoglia 1893 – Fiuminata 1971) di Filippo e Teresa Tofani , di professione fabbro ferraio poi autista della SAUM.   Nel 1922 si trasferì dapprima in Ancona, poi a Fiuminata paese di origine della moglie Felicetta Buglioni.  Attivo nel ‘Distaccamento Mancini‘ operativo nella zona di Copogna, Serravalle e Camerino.  Era cugino di Silvio Renaldi (i rispettivi padri erano fratelli).

 

 

Ermanno Renaldi con il nipote Luca Bonfili

 

 

Un nutrito gruppo familiare di Spitoni provenienti da Palazzo di cui non si hanno per il momento altre notizie che quelle desunte dalle loro schede personali e poco di più:

SPITONI Angelo

(Esanatoglia 1873 – Matelica 1958) di Mario e Rosa Lucarini.  Nato a Palazzo. padre di sono operativi nel Gruppo Porcarella

con due suoi figli:

SPITONI Augusto

(Esanatoglia 1907 – Matelica 1972) di Angelo e Rosa Margherita Bartocci, sposa Fausta Tritarelli.  Figura nel Battaglione Mario

 

SPITONI Maria

(Esanatoglia 1923 – ?)  di Angelo e Rosa Margherita Bartocci, sposa Quinto Cola. Patriota Nel GAP Matelica 

 

SPITONI Igino

(Esanatoglia 1926 – Matelica 1950) di Antonio (fratello di Angelo) e Giovanna Modesti.  Partigiano nel Gruppo Porcarella

 

SPITONI Giuseppe

    Non siamo riusciti ad identificarlo

 

TRITARELLI Giuseppe

(Esanatoglia 1893 – Matelica 1989). Di Angelo e Angela Picchietti nasce in Via case Vecchie ma risulta residente in strada S.Angelo 7.  Nel 1922 si trasferisce a Matelica, probabilmente nella campagna in zona Casa Foscola (“La mia casa è situata alle pendici dell’Eremita ed i Partigiani del gruppo che si trovavano all’Eremo trovarono nella mia casa tutto ciò che gli fu necessario […]”) .  Sposato nel 1927 con Lucia Gagliardi.  Gruppo Eremita

 

 

 


 

Si chiude qui l’elenco del fondo RICOMPART che contribuisce ad illuminare di nuova luce la Resistenza esanatogliese.  Il lavoro di ricerca continua, nella certezza che, nonostante siano passati così tanti anni, sia ancora possibile aggiungere altri tasselli alla memoria storica di quel periodo.  Rinnoviamo l’invito a quanti fossero in possesso o a conoscenza di notizie e documenti di qualsiasi genere riguardanti le vicende di quel periodo, e non solo di quelli presenti in questo elenco, a contattare questo sito per contribuire a integrare e arricchire queste memorie.  Grazie. 

Buon 25 Aprile a tutti.  

 

8 Replies to “La Resistenza degli esanatogliesi”

  1. Cataldo Modesti ha detto:

    Grazie Pino per la straordinaria ricerca che hai svolto e che ci restituisce uno spaccato inedito degli avvenimenti drammatici avvenuti nel nostro paese nel periodo della lotta partigiana contro il nazifascismo. Davvero tante le persone che diedero il sostegno alla Resistenza. Personalmente, con un pò di commozione, apprendo solo ora che mia nonna Lattughelli Giselda (Mariuccia) fu insignita della qualifica di patriota.

    • PinoBart ha detto:

      Ti ringrazio. Per la storia di nonna ‘Mariuccia’, per te la conferma di un retroterra fertile.

  2. Andrea Bolognesi ha detto:

    Caro Pino, la tua ricerca storica, così dettagliata ed esauriente , rende onore alla nostra comunità e , in tempi di “sobrietà “ imposta ,riesce a restituire dignità e verità a tanti personaggi di cui si era persa la memoria . Il ricordo del caro zio Balilla che ,insieme a mio padre e ad altri paesani , visse l’esperienza della deportazione è vivo nel mio cuore e nella mia carne e rappresenta , spero, per l’intera comunità un fulgido esempio di ciò che fu la Resistenza alla barbarie nazi-fascista . Grazie infinite .

    • PinoBart ha detto:

      Grazie per l’apprezzamento Andrea, e per ricordare l’esperienza e soprattutto lo spirito dei tuoi avi, incarnato in tanti dei Bolognesi che mi pregio di avere come amici.

  3. Simone Bottaccio ha detto:

    Grazie Pino,
    questo articolo rende onore a tutto il paese. Non pensavo che così tante persone fossero state coinvolte.
    Lo dico senza retorica, perché in un periodo di guerra civile dopo 20 anni di regime, rispetto anche chi decise di stare con Salò.
    Un misto di commozione e orgoglio nel leggere di mio nonno, che non ho mai conosciuto e a cui avrei fatto tante domande su quel periodo.

    • Anonimo ha detto:

      Grazie Simone, concordo con te sul fatto che un coinvolgimento così massiccio costituisca motivo d’orgoglio per la nostra piccola comunità. Lo stesso giusto orgoglio che provi tu nel sapere dell’impegno di tuo nonno. Sul “rispetto” per chi scelse Salò con convinzione nonostante l’ormai evidente sgretolamento del regime adoperandosi con quella brutalità che ne divenne elemento distintivo, ho più di una remora …

  4. Emanuela Chiappa ha detto:

    Ho letto questa interessante testimonianza dove vedo mio nonno, zia Maria e zio Giulio militanti come partigiani ma non vedo mio padre deportato che pur non essendo attivo militante partigiano ha subito e dato tanto di sé a causa del sistema. Ci tengo a dirlo perché nonostante tutto e dai ricordi che ho di quando mi raccontava so che ha sofferto molto,le paure, la fame e il vedere i suoi compagni morire perché forse meno resistenti alle sofferenze.

    • PinoBart ha detto:

      Pur non sapendo della sua deportazione, sono rimasto un po’ stupito anch’io della assenza di tuo padre dall’elenco RICOMPART. Forse, per motivi che non conosciamo, non avrà presentato domanda di riconoscimento. Non sarebbe l’unico caso.

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