Il parlare aspro prevede che un inganno, una frode, possano essere definiti sic et simpliciter ‘na ‘nculata, ma capita che per mitigare si ricorra ad altri termini, tra cui ‘bbuggerata.
Apparentemente più mite perché i Registri Criminali della nostra terra del 1587 ci ricordano, tra le altre cose, che il termine ha in sé una inaspettata dose di trivialità.
In quell’anno, si ricorda la storia di Bastiano di GioBattista, sàtiro imbufalito che rincorre donne d’ogni tipo per le contrade di Pagliano, ma ha anche subìto condanne “perché è solito buccirare i ragazzi (…) un figliolo della Galluccia , il quale era d’età di cinque anni, et gli rompette il culo, ma Donna Petrollina madre di detto putto non volse che si scoprisse et negò al figliolo non ci nominasse detto Bastiano, et questo perché detta Petrollina ci giaceva con detto Bastiano..“. Bastiano poi si difese e come andò a finire lo racconterò più avanti, magari alla voce pascégghjià o alla voce lurza; qui si parla solo di buggere.
C’è chi sostiene che il termine derivi da bugio che sta per buco… (come, a detta del Pianigiani, registra l’Accademia della Crusca) chi invece pensa a un epiteto ritagliato per i Bulgari la cui colpa di eretici venne ovviamente estesa fino ad attribuire loro l’infamia della sodomia.
Il Grande Dizionario del Battaglia ci conferma che in lingua ha ormai prevalso un uso faceto e bonario che è quello che si è affermato anche nel nostro parlare quotidiano. Anticamente, anche da noi, non era così. Era un termine assai ricorrente come ingiuria e molti sono i procedimenti a causa dell’insulto di “buggerone” declinato anche al femminile; il riferimento non poteva essere quindi che al suo significato originario e più estremo cioè proprio quello di “praticare la sodomia”.
Nel corso del tempo l’uso del termine e il suo significato hanno continuato ad essere registrati dalle cronache giudiziarie locali. Nel 1739 il Canonico Don Carlo Alberici trascina davanti al Giudice un non meglio precisato Venanzio figlio di Carnevale (sic!) reo, a suo dire, d’aver rivolto alla sua serva / perpetua insulti che lo tiravano direttamente in ballo: “vatti à far buzarare con chi ti da’ da mangiare“.
Poi, fregata dopo frecata, sono subentrati altri termini e il buggerare s’è scolorito.
Ormai è così: siamo triviali se diciamo in preda allo sconforto “che ‘nculata la vita…” tutta un’altra storia se ci sfoghiamo definendo l’esistenza umana “‘na ‘bbuggerata”… Non solo esprimiamo lo stesso concetto ma, non volendo, usiamo anche la stessa ficcante e bruciante radice metaforica.