Baràccula, con la immancabile “v” iniziale molto marcata. Una delle tante parole ormai sempre più rare, quasi scomparsa dall’uso comune; non perché siano scomparse le baràccule (e neppure li baràcculi, anche se la declinazione al maschile risulta assai rara, se non rarissima, poiché trattasi di questioni attinenti alla moralità, dote richiesta anzitutto, ahiloro, alle donne), ma perché sono subentrati nuovi termini sostitutivi.
Difficile stabilirne l’origine, anche perché la diffusione sembra assai limitata.
Nelle nostre zone di mare, anconetane e maceratesi, le baraccole o varaccole sono pesci, per la precisione una specie di razza apprezzata per il brodetto. Datosi invece che da noi, in montagna, nella nostra accezione dialettale la baraccula era una donna (seppur giovane, anzi prevalentemente ragazzetta) poco seria, incline cioè ad atteggiamenti e comportamenti di estrema e deprecabile spigliatezza e leggerezza (oca e/o ochetta o anche sciapicotta diremmo oggi, ma anche di peggio) ed è difficile rinvenire collegamenti tra i pesci e il comportamento delle donne (fatto salvo il paradosso femminista in voga un trentennio fa per cui
“una donna senza uomo è come un pesce senza bicicletta”), per spiegarne il senso verrebbe da pensare alla assonanza con il termine baldracca. Una percorso di alterazione linguistica non poi tanto difficile da concepire: da baldraccola, col suffisso che ne ridimensiona il pesante significato, a bardraccula e poi a baràccula, il passo non sembra lungo: si ottiene di ridurre l’impatto, al punto che dire “‘sta munella è ‘na baràccula” non equivale a tacciarla di inclinazione a ‘facili costumi’, però definisce l’appartenenza a un àmbito incline a scarsa ‘serietà’ e a ‘principi morali’ piuttosto deficitari. E dire che “le munelle de ogghij è tutte baràccule” equivaleva ad esprimere, nel migliore dei casi, la preoccupazione generalizzata sulla ‘serietà’ delle giovani generazioni. Sempre comunque riferendosi al genere femminile in termini, come dubitarne, squisitamente sessisti.
Una diversa traccia da seguire potrebbe essere quella che ci porta, non tanto per l’assonanza (che c’è, ma appare di scarsa consistenza) quanto per l’aderenza di significato, a brindàcola (o brindàccola), una voce rara che sta per donna sciatta, dappoco, pettegola. Parola dall’etimo incerto che il Battaglia (Grande Dizionario della Lingua Italiana) vuole si riconnetta a brìndolo (dialettale brindello – pezzetto che ciondola).
Ci viene allora spontaneo lasciarsi incantare dall’allegro e inconcludente ciondolìo di brindelli che ci suggerisce l’idea di una lieve spensieratezza e di comportamenti che potremmo appunto definire “sbrindellati”, con tutto ciò che ne consegue in quanto a significati diretti e traslati.
Uno spunto interessante è venuto dalla ‘ricerca sul campo’; nel caso specifico un rapido e fortuito incontro con l’arguzia di Pina Brugnola che, confermandone l’utilizzo e il significato, per spiegare l’origine del termine ha azzardato un interessante accostamento alla ‘baracca‘, in particolare a quelle posticce costruzioni provvisionali che si facevano per i campi come ricoveri di fortuna e nemmeno meritevoli d’essere chiamate tali ma sminuite appunto a “baraccole” aggiungendo in coda una sorta di suffisso valutativo che rimarca la precarietà della struttura, la sua leggerezza, la sua evanescenza. La stessa leggerezza (di costumi e di comportamento) che si rimproverava alle ‘giovanette esuberanti’, bollandole appunto come “baraccule“.
Non ho trovato nulla di simile in altri dialetti . E’ possibile che solo a Esanatoglia vi fossero baràccule ? Mo’ altrove tutte santarelle, no?…
Santarelle mi sembra bellissimo, dopo baraccole o peggio, povere noi sempre giudicate malissimo, mai libere da giudizi positivi. Comunque sempre interessante leggere le tue storie ciao Pino buona serata
E’ proprio vero. Hai ragione a dolertene. La lingua, in quanto
specchio del pensiero, riflette questo andazzo che affligge la donna e ci restituisce un campionario vastissimo di “giudizi poco positivi” nei suoi confronti.