Lu Règulu è più noto, nella generale storia della mitologia, come Basilisco: una delle mostruosità animalesche che l’ansiosa fantasia dell’uomo ha partorito nel corso dei millenni. Immaginario quanto si vuole, ma come sulla sua esistenza spergiurò Giulio Cesare Scaligero, medico padovano ed illustre filologo del ‘500, così in tempi recenti m’è capitato di incontrare chi, senza remora alcuna per l sua profonda convinzione, ne temeva la presenza lungo la valle che porta a Santàgnelu. Parlava costui di la matre de li sérpi , ma sosteneva che era come dire lu Règulu.
Figurato mutevolmente e mutevolmente nomato (badalisco, basalischio, basaliscio, basilichio, basiliscu, bavalischio, vasalischio, dal greco basilískos, reuccio, piccolo re e quindi il regulum latino, quale fu per Plinio), era nell’antichità più remota un serpente che aveva una cresta in forma di corona. Nel bestiario medievale diviene un gallo quadrupede e coronato, piumaggio giallo e grandi ali spinose, la coda di serpente che termina a uncino o, ancora, con testa di gallo. Ulisse Aldrovandi, medico e naturalista bolognese, nella sua bizzarra classificazione degli animali agli inizi del ‘600, forse per aggravarne la bruttura gli attribuisce squame al posto delle piume e il possesso di otto gambe. L’attributo che non cambia è il suo sguardo mortifero. Lo ricorda il poeta latino Marco Anneo Lucano in alcuni versi della sua Phrasalia:
“…………..e’l Basilisco horrendo
(Che Sibili tramanda, onde rimane
Ogni serpe atterrito, e pria che sparga
Il veleno, dà morte) il serpentino
Volgo da sé rimove, e in vuote arene
Solo il regno ritien.”
Lu Règulu no, nella tradizione esanatogliese è ‘n sèrpe gróssu co’ la testa de gattu, e contro la sua versione più terribile, il suo occhio non uccide, non rompe la pietra, non brucia selve e pascoli, ma ‘ffata (affata, ammalia, incanta), e poi cióffia sì, ma l’alito che col soffio esce dalle sue fauci non avvizzisce i frutti ma sembra serva solo ad aumentare l’effetto incantatorio. A che pro non è chiaro; anzi, piuttosto controverso. Un mostro ingentilito sembra, come si riscontra anche in Toscana, lungo il corso della Sieve, nel Mugello: una presenza certo non amica, ma solo vagamente intimidatoria. Nei racconti dei nostri carbonari e boscaioli, che da bambino mi incantavano, non mancava mai; ad incantesimi ormai rotti, resta il ricordo di una narrazione in cui il mostro sembrava quasi evocato in soccorso della loro pretesa sovranità sui boschi, a marcare l’intangibilità di un territorio che li sfamava, mettendo sull’avviso dei pericoli a chi osava avventurarsi nelle macchie, ché pullulano di presenze inquietanti come appunto, prima fra tutte, lu Règulu.