E’ arrivato un breve scritto, una cronaca partecipata, di Bruno Bolognesi che mi piace tornare ad ospitare in questo spazio. E’ arrivato che avevo appena letto sul quotidiano ‘La Stampa’, segnalato da un caro amico avido lettore, un articolo di Alessandro Barbero (i pochi che non lo conoscono non hanno altro che cercarlo…) che esordiva così:
“L’Italia è un paese meraviglioso, dove succedono cose che a sentirle raccontare uno non ci crederebbe. Un esempio: c’è una canzone italiana, popolarissima, conosciuta anche all’estero, dove molti la sanno cantare in italiano, cosa che dovrebbe fare molto piacere a chi ha a cuore l’immagine del nostro Paese. Questa canzone racconta di un italiano che una mattina si sveglia e trova il paese invaso dallo straniero, e decide di andare a morire combattendo contro l’invasore. Uno dice: chi in Italia rivendica con forza l’identità, la nazione, la patria e i suoi valori, e proclama con orgoglio di essere italiano, dovrebbe essere entusiasta di questa canzone. Invece no, è tutto il contrario: chi pretende di difendere l’italianità e la patria, questa canzone non la può sopportare , perché Bella Ciao è comunemente associata alla Resistenza. E ai difensori della nazione, della patria e della religione l’idea che un giorno una moltitudine di italiani, rivoluzionari e conservatori, operai e nobiluomini, comunisti e monarchici e cattolici, civili e militari, si siano sollevati contro un invasore straniero e contro gli avanzi di un regime in cui molti di loro avevano creduto in buona fede e che aveva portato l’Italia alla vergogna e alla rovina, be’, ai nostri odierni difensori della nazione, della patria e della fede questa idea da’ fastidio, non riescono proprio a non dimostrare la loro istintiva ostilità verso quei ribelli.“
Ecco dunque che il racconto di Bruno, arrivato giusto in tempo, prosegue sul filo di queste riflessioni:
Wassili il Partigiano e le croci di Ilio e Cesare
E’ una calda giornata di fine agosto di questo torrido 2021. Suona il campanello, m’affaccio, e chi ti vedo? Il caro Gervasio Micucci, mio conoscente di lunga data: matelicese D.O.C., nonché Guardia caccia volontario, che vuole parlarmi di una certa cosa riguardante la frazione di Terricoli. Il tempo di ingozzare un caffè, scendo e lo accolgo all’ombra del mio giardino. Sapevo che voleva vedermi a proposito di un suo progetto tendente a rivitalizzare, riqualificare appunto la frazione in questione e quindi, dopo qualche preambolo sull’afa e sui rispettivi stati di salute, siamo venuti subito al nocciolo della questione.
Il mio interlocutore ha portato con sé una valigetta di quelle in plastica rigida usata normalmente dagli studenti durante l’ora di disegno; “Porto sempre con me queste fotografie” – mi dice Gervasio – “così facciamo prima ad entrare nell’argomento.”. “Vedi?” – continua, indicando via, via le foto poste sul tavolo – “questo è il cartello indicatore che sono riuscito a far installare dal Comune di Matelica poco prima del nucleo storico della frazione; è regolamentare: fondo blu e scritta bianca; anche da lontano è facile leggere TERRICOLI”. Poi mi indica alcune altre immagini che si riferiscono ai ruderi dell’ex eremo detto: “l’Eremita”, posto poco più su, nel versante sud-est del Monte Gemmo. “Il discorso si fa sempre più interessante” – gli rispondo – “dato che proprio in quei luoghi remoti, dopo l’8 settembre del 1943, hanno operato i partigiani del gruppo Eremita, fondato, a suo tempo, da Liziero Rastelli, detto Bombolo, fornaio operante ad Esanatoglia, che chiuse la sua attività per darsi alla macchia, per combattere i nazi fascisti. Insieme ad una decina di fidati compagni fece di alcuni ampi locali dell’ex Eremo il suo quartier generale.” Ma non ho voluto rompere il racconto di Gervasio entrando nei particolari, nelle azioni e anche nei lutti di quel valoroso gruppo di combattenti, perciò gli ho chiesto se fosse a conoscenza del luogo preciso dove è collocata la stele che ricorda l’uccisione, da parte dei nazi fascisti, del Partigiano Wassili Niestarol, russo di Mosca; già dallo sguardo ho capito che il Guardia caccia mi avrebbe dato una risposta affermativa, e così è stato.
Da tempo mi frullava nella mente l’idea di andare alla ricerca di quella lapide dimenticata da qualche parte nella zona di Casafoscola, ma non sapevo a chi rivolgermi per avere delle indicazioni precise. Ma adesso, lì, davanti a me avevo la mia chiave di volta per entrare in quel mondo impregnato di storia a me sinora sconosciuto: Il signor Gervasio Micucci Guardia caccia, ma soprattutto persona che ama la sua terra con tutte le sue storie antiche e moderne e le sue tradizioni. “So dov’è il luogo. Me lo hanno riferito i miei amici cacciatori!” – mi conferma il mio interlocutore, ma prima di organizzare una sortita insieme per trovare la stele del Partigiano, continuiamo la nostra chiacchierata che si fa sempre più interessante. Oltre ad Edicole religiose restaurate anche con il contributo di parrocchiani, e di feste campestri passate organizzate per l’appunto da Micucci, compare sul tavolo di legno una foto che ritrae due croci di ferro piantante in mezzo ad un campo di erba ormai disseccata; cosa poteva esserci dietro quelle croci adornate da vistosi fiori rossi che non necessitano d’acqua? E il piccolo recinto fatto di fil di ferro che le racchiude? “Questa è una storia che in tanti non conoscono” – mi dice solennemente il mio amico – “Guarda cosa c’è scritto in questa targa affissa ad una rete che cinge una tartufaia proprio là accanto, che io stesso ho fatto stampare!” Avvicino a me la foto per meglio decifrarne l’iscrizione che recita: “1946 – In questa località Terradimondo due ragazzi stavano giocando con un proiettile di mortaio, quando questo esplose ed essi morirono. Mosciatti Cesare e Cicculesse Ilio. Nel luogo ci sono due croci a 150 m.”.
Storie tragiche causate dalla guerra si intrecciano in quel piccolo lembo di terre baciate dal sole, dove ruderi di civiltà perdute si contendono il paesaggio con nuovi insediamenti fatti di case, di attività economiche e di campi coltivati; la barbarie del nazismo e del fascismo uccide e fa “scempio innominabile” dei i partigiani, come nel caso di Wassili ricordato nella lapide, ma causa altri lutti, altre morti innocenti e inconsapevoli, come i ragazzi di Terradimondo e altri loro coetanei che a Esanatoglia, in quel periodo, fecero una fine medesima; la pietà di chi li ha pianti li ha spinti a raccogliere i loro resti dilaniati sparsi tra l’erba e le rocce, lasciando una croce ai posteri a monito.
Ci siamo andati insieme in quei luoghi, alcuni giorni dopo l’incontro. Io, come Presidente pro tempore dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia sezione “24 Marzo” Matelica e il mio amico Gervasio in veste di cittadino che da sempre ha avuto a cuore la terra dove è nato e vissuto.
Abbiamo visitato le Edicole restaurate le due croci piantate in quella terra gialla come l’oro e, inoltrandoci nella macchia di Casafoscola, abbiamo trovato la stele a ricordo di Wassili russo di Mosca, combattente caduto per mano nazi fascista.
Di fronte a quella lingua di pietra bianca, scolpita di parole che pesano come piombo, e che sembra emergere dalla pancia della terra, ci siamo sentiti in dovere di ripulire la piccola area circostante dalle sterpaglie, ed infine di rigenerare la stele, di proteggerla con un prodotto che ne accentuasse la lucentezza, come a significare che il tempo debba mantenere e non gettare nell’oblio pezzi di storie tragiche che ci riguardano da vicino.
Se passate da quelle parti, a Casafoscola, fate qualche metro in più, attorno a Villa Cervelli Casafoscola e lasciate un fiore sulla stele di Wassili russo di Mosca, partigiano caduto per la Libertà. La Memoria è una solida base su cui vivere il presente e costruire un futuro scevro da guerre e disuguaglianze; lo dobbiamo a tanti che hanno pagato con la vita l’ideale di libertà e domocrazia.
Bruno Bolognesi
Simile storia delle due croci ad Esanatoglia. Bomba scoppiata su “Lu Fossu” dove sono morti due ragazzi che giocavano appunto con una bomba. Mio nonno Fernando che passava di lì non ha fatto in tempo a richiamare i due giovani. Lui fu ferito gravemente alle gambe. Caterina Zampini perse una gamba ed altri furono feriti. Racconti di mia madre e zia che erano lì e per caso furono chiamate dalla mia bisnonna Mattia a risalire a casa. Una fortuna sennò sarebbero morte i ferite anche loro.