Non è voce propriamente dialettale, ma voce di lingua antica e ormai in disuso; un latinismo che viene da gradīlis e identifica qualcosa che ha gradini, gradinato. Ma nel nostro parlato era assai in uso e i meno giovani la ricorderanno certamente se, in tempo di loro gioventù, avranno avuto la ventura di parlare con gli anziani.
Lu gradìle è, o meglio era, qualcosa più del semplice gradino. S’immagini una pietra monolitica (ma poteva essere anche più d’una, fino a costituire una gradinata) oppure un più modesto muretto misto di mattoni e pietre, sulla soglia di un ingresso, d’una ampiezza tale da potercisi sedere e svolgervi, oltre a quattro chiacchiere, anche qualche faccenduola: ‘na ‘rcapata all’erbe, ‘na rinacciatura, e perché no, in tempi più recenti, una sfogliata all’unico tipo di stampa che all’epoca si poteva pubblicamente esibire (siamo durante il fascismo, primi anni ’30), mentre si esercita un paternale controllo sulle giovani generazioni.
La splendida foto che ha circolato di recente in rete e che rappresenta un vero spaccato della vita di un vicolo paesano tra le due guerre si svolge proprio intorno al gradìle su cui siede Giuseppe Giordani (1854-1942) che fu sarto dopo ben almeno tre generazioni di fabbri. Un capolavoro di foto, nell’equilibrio delle figure, nelle loro disposizioni e pose; frutto del caso o maestrìa compositiva di chi ha allestito il set fotografico… chissà. Comunque sia, tanto materiale da imbastirci più d’un racconto.
In questa altra foto, databile (senza particolari azzardi) alla primavera – estate del ’56, forse c’è meno materiale epico, ma un altro esempio di gradìle. Qui serve da basamento alla statuetta intimorita de ‘n munéllittu de lu Vaccarìle. E’ in pietra, con tracce d’intonaco sui lati.
Si noti quindi l’aspetto e la funzione: a metà tra il gradino e il sedile; così, quasi fosse una sorta di fusione, si ottiene appunto un gradìle, perché come uso prevale comunque il gradino, che facilita l’accesso ad un livello più alto. Una media che, per analogia inversa, forse potrebbe anche spiegare il nome che diamo a “li Sedìni”, dove invece la funzione prevalente non è il superamento del dislivello tra la strada e i piazzali circostanti, ma è la seduta. Ma è solo una divagazione personale, un gioco di parole.
Oggi raramente ci si siede sull’uscio di casa e di gradìli, salvo rari casi in cui ci si trova con scalinate vere e proprie che culminano con ampi ballatoi, non ve ne sono più. Nei pochi luoghi di socialità all’interno delle mura, ci sono le panchine. Sull’uscio della casa c’è la soglia (ovvio che per noi è la sojia, ma non è raro sentirla sproloquiata in sojiola…), che non sporge sulla pubblica via, si è come ritratta verso l’interno, e soprattutto … non induce alla confidenza.
Oltre ad essere mutata nel corso dei tempi la socialità (non parliamo qui dell’avvento del ‘social‘ collegato ad internet che è rivoluzione antropologica), l’avvento del traffico veicolare anche dentro i vicoli più stretti, ha pian piano fatto sparire questo elemento, questo tòpos architettonico, un luogo ossìa dove la struttura incrocia gli affetti e si salda con le funzioni della vita. Ce ne sono forse di più rilevanti di luoghi così (basti pensare alle fontane e fontanili…) ma lù gradile, anche per la sua ampia diffusione non era certamente elemento secondario e in quel suo aprirsi verso l’esterno, come una sorta di pròtesi della propria intimità casalinga, può ritenersi analogo a quello che in molte zone del nostro sud è il balcone.
Non ci sono più i gradìli di una volta… verrebbe facile il lamento, e il termine va quindi anch’esso a scomparire; è un vero peccato, sia perché rimanda ad una immagine di vita sociale persa ormai senza rimedio, sia perché suona… gradevole, almeno per assonanza.
Non poche le citazioni rinvenute nei documenti antichi; diverse di queste ci inducono a pensare che come luogo d’incontro spesso vi si creassero anche, chiamiamoli così…, vortici di socialità eccessiva. Luogo d’incontro, uguale a luogo di scontro. Nei fatti, un esempio tra i tanti: primavera del 1587 racconta una giovinotta al Magistrato, al cospetto del quale era finita la questione, che “essendo Donna Verginia mia madre andata a’ lavare mi ha lassato un putto mio fratello in braccio che gli havessi cura, et andando io per il vicinato in contrada La Cerchia [la prima cerchia di mura che terminava all’altezza delle Fontane di San Martino] et essendomi messa a sedere nel gradile del uscio di Donna Giovanna di Gogione mia l’ava [mia nonna] è venuta li Donna Giovanna di Bittuccio, et…” vi risparmio il resto, perché è una rissa tra comari per futili motivi e senza particolare interesse. Tanti insulti e appena qualche sgrancicone. Proprio lì, su lu gradìle.
Grande Pino! Tieni viva la nostra identità,
Simone! Ciao, grazie. Ci proviamo. Proviamoci tutti, anche voi che siete “lontani”.
Caro Pino , ti ringrazio per aver messo la foto , in mio possesso, del bisnonno Giordani ,intellettuale ante-litteram e personaggio leader di una intera comunità , al pari dei veri intellettuali di riferimento dell’epoca : dottore , farmacista , maestro , sacerdote …
La tua analisi storico linguistica è allo stesso tempo profonda e lieve ,accarezza con arguzia la nostra curiosità. Grazie!
Ti ringrazio. Diciamo che tra i Giordani e i Bolognesi è stato un buon connubio… O no?